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Polveri di farina, rischio chimico o biologico?

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mirko
Messaggi: 1026
Iscritto il: 23 nov 2004 20:32
Località: Roma

...sono appena le 07.20 e già sono qui, giornata tostissima oggi, e già devo chiedervi qualcosa....  :smt003
Nel valutare il rischio chimico in un panifici, per le attività di pulizia, ho pensato bene di inserire il diescorso relativo all'esposizione a polveri di farina.
Poi mi sono chiesto se però questo fosse un problema di rischio biologico.
Stando a quanto ne so il prolema è relativo, oltre che all'esposizione a polveri inalabili, anche agli acari ma non tanto loro, che non rientrano nell'elenco degli agenti biologici (stanno insieme agli scorpioni nel librone di biologia), quanto le loro cacchine che sono un miscuglio di sostanze quantomeno irritanti e sensibilizzanti.

Non trovo ulteriori approfondimenti in merito però chi sa aiutarmi?????

:smt039
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shawanda
Messaggi: 107
Iscritto il: 19 ott 2004 12:15
Località: Milano

Ma tu mi mandi in crisi Mirko !  :smt100

Nella mia azienda (composta da diversi stabilimenti seguiti da diversi RSPP esterni, tranne la sede che seguo io) il problema farine è stato affrontato da tutti gli RSPP come rischio chimico (polveri).
Non ho mai considerato l'aspetto biologico di particolare rilevanza ( forse Nofer può darci una mano in tal senso)  mentre piuttosto mi pare possa averne l'utilizzo dei lieviti anche se per ora non abbiamo ancora fatto nulla in questa direzione.
fammi sapere se hai qualche illuminante idea in merito...
ciao
Shawanda :smt039
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Nofer
Messaggi: 7386
Iscritto il: 06 ott 2004 21:09

HAH!  :smt003
...me lo sarei aspettato: ieri sera da casa volevo rispondere, ma ho avuto un attacco di antipaticità (che è diversa dall'antipatia, ovvio) e non l'ho fatto, proprio per vedere se...
allora, il problema farine è piuttosto complesso.
Nel senso, che sono tecnicamente granuli (piccolissimi, ma granuli) di amido, dunque sono "sostanze chimiche", per cui è giusto considerarle tali. Vengono difatti paragonate alle "polveri inerti", da questo punto di vista.  
si dà però il caso che hanno l'handicap supplementare di essere considerate da numerosissimi migroganismi come il loro ristorante preferito, il che tutto sommato sarebbe fesseria visto che se le "bestiole" (in genere ifomiceti, quindi forse più "piantine" che bestiole) campano nella farina, a noi poco si interessano e quand'anche lo fanno non è detto siano patogene, e infatti non lo sono, in sè, come invece i besti brutti di alcuni batteri tipo la salmonella e lo stafilococco aureo.
Purtroppo, come tutti i viventi, dopo che hanno mangiato eliminano le cose in più (cosa che noi umani di solito facciamo la mattina in un apposito locale della casa).
ecco, il problema delle farine è che gli ifomiceti che ci campano non hanno locali appositi e dunque la fanno lì dove si trovano; il problema nostro è che molte delle loro deiezioni (prego sempre apprezzare quanto sono signorile quando parlo scientifico) per noi sono altamente tossiche, come le aflatossine (specie di tipo A), le ocratossine e quisquile similari. quelle che non ti atterrano direttamente, in compenso possono mandarti al creatore con attacchi di asma potenti, perché sono agenti chimici sensibilizzanti potenti per le vie respiratorie, se si vendessero dovrebbero essere etichettate R 42.  
Dunque, ricapitolando, l'agente tecnicamente in sè è di nuovo un agente chimico, perchè è la molecola della tossina a creare il danno, ma dev'essere ritenuto a tutti gli effetti rientranti nel rischio biologico, in quanto , come certamente tutti voi sapete,
D.Lgs. 626/94 - art. 74 ha scritto: a) agente biologico: qualsiasi microorganismo anche se geneticamente modificato, coltura
cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni;

Nel caso di manipolazione di farine, quindi, a lato del rischio chimico (che c'è di suo) è indispensabile anche la valutazione di quello biologico. C'è a dire che c'è però poco di che valutare, il grosso si deve fare sulla prevenzione: evitare l'umidità, che agli ifomiceti come a tutti i viventi l'acqua è davvero indispensabile, evitare i ristagni che possono agevolare la riproduzione delle bestiole-piantine, e così via.
questo, in relazione alle sole parassitosi delle farine. Poi, potremmo stare a disquisire sulle potenzialità di infezioni da deiezioni di animali superiori infetti (facciamo un esempio a caso: i topi) e così via, ma se continuo nessuno di voi mangerà più nè pasta nè pane. Peccato, perchè in cottura di solito le tossine si distruggono, essendo prevalentemente termolabili. Io infatti mangio moltissima pasta, che dopo bollita sono certa che è sterile e innocua. Beh, non alla linea: ma che fa?
Nofer
P.S. nel vecchio forum una volta ho fatto una disquisizione specifica a proposito del polmone del fattore: ma non lo trovo, ci vuole vise, per questo!
Nofer
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Ognuno di noi, da solo, non vale nulla.
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Stilo
Messaggi: 838
Iscritto il: 07 ott 2004 12:06
Località: Motor Valley

Io non mi curerei del rischio biologico nel dvr. Una delle tante cose giuste che ha detto Nofer è che il rischio deve essere eliminato/ridotto con misure preventive. Le misure preventive, in casi come questo, dovrebbero essere codificate nel manuale haccp sull'igiene degli alimenti. Ecco, tutt'al più farei riferimento a quest'ultimo protocollo all'interno del dvr e nulla più, sempre per non duplicare valutazioni e creare carta inutile. (certo che per chi lavora 'a peso' non è conveniente...)
Saluti
Stilo
Ut sementem feceris, ita metes.
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Bassaumbria
Messaggi: 296
Iscritto il: 29 apr 2005 12:40
Località: UMBRIA

se può interessare

PS: l'allegato riportato qui sotto da Bassaumbria (che ringrazio) e' visibile, al solito, solo ai registrati al Forum.
Cordiali saluti

Mod :smt039
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effenne
Messaggi: 817
Iscritto il: 18 gen 2005 13:56

Scusatemi, ma sono un pò rinko dalla pesante settimana appena conclusa: in sintesi, non mi direte mica che bisogna valutare anche il rischio biologico, in questi casi? :smt009
Non c'è mai abbastanza tempo per fare tutto il niente che vorrei (Voltaire)
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shawanda
Messaggi: 107
Iscritto il: 19 ott 2004 12:15
Località: Milano

io invece, ho trovato questo...
http://www.sicurezzaonline.it/homep/inf ... 051205.htm

personalmente, almeno per ora, non valuterò l'aspetto biologico poichè come già detto da altri le attuali procedure ai fini HACPP danno già un'adeguata garanzia di controllo "sanitario" del prodotto.

ciao
Shawanda
Sto lavorando duro per preparare il mio prossimo errore (B.Brecht)
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Pablito
Messaggi: 51
Iscritto il: 04 mag 2006 21:56

Io nel panificio che seguo (consumo medio 1500 Kg di farina al giorno) le polveri di farina le ho trattate (anzi le stò ancora trattando) come rischio chimico.
Sulla parte biologica farò solo un breve accenno.
Invece mi stò arrovigliando il cervello per quanto riguarda il rischio di esplosione, è un bel groviglio; vi è mai capitato il problema?
Comunque i panifici pongono diverse problematiche che non mi sarei aspettato dato che è il primo panificio che seguo: microclima, incendio (per i forni a gas), esplosione, chimico, biologico, insomma un bel puzzle per un'attività giudicata "semplice"

saluti

Informo, gentilmente, Pablito che il suo avatar e' stato tolto in quanto gia' utilizzato da un altro utente del Forum.
Colgo l'occasione per dare il benvenuto a Pablito nella ns. community.
Cordiali saluti

Mod :smt039
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gino
Messaggi: 50
Iscritto il: 28 giu 2006 21:06

Trovo utile riportare (anche se molto lungo) questo decalogo dell'INRS.

Ciao
gino

L’INRS (omologo francese del nostro ISPESL) propone un semplice decalogo per la riduzione della esposizione professionale respiratoria dei panettieri e dei pasticceri alla farina di frumento.

Le farine cereali (costituite da un complesso di polipeptidi e polisaccaridi) e le lavorazioni che ne comportano l’uso e che provocano l’esposizione alle relative polveri costituiscono anche in Francia una delle principali cause di allergia respiratoria professionale.
Le farine di grano e di segala sono la principale causa di rinite e asma, ma anche quelle di orzo, avena, mais, granturco e riso sono spesso all’origine di patologie allergiche, della sindrome da iperreattività bronchiale e/o della bronchite cronica.

Studi di incidenza e di prevalenza hanno evidenziato l’importanza decisiva della prevenzione primaria, dimostrando l’influenza delle alte concentrazioni di polvere di farina nell’ambiente di lavoro quale causa di maggiore sensibilizzazione.
Il tenore delle concentrazioni di polvere di farina in aria nello scatenamento della reazione allergica è invece di minore importanza.
La sintomatologia, almeno inizialmente, presenta sovente una attenuazione nei week-ends e nei periodi di congedo.

Le esposizioni a farina sono più pericolose che non quelle al grano intero.
Pur dimostrando una prevalenza maggiore delle broncopatie croniche -specialmente dopo lunghi periodi di esposizione- rispetto ai non esposti, i lavoratori dei mulini risultano meno suscettibili all’asma da farine che non panificatori e pasticceri. Incidenza e prevalenza di patologie respiratorie in queste due ultime categorie di lavoratori presentano però ampie variazioni legate alle caratteristiche industriali o artigianali della lavorazione ed alle misure di prevenzione primaria (presenza o meno di idonei sistemi di ventilazione industriale). Soprattutto i lavoratori dei panifici artigianali di piccole dimensioni risultano più frequentemente affetti da patologie respiratorie da esposizione a farine.
I “grain workers” dei silos portuali sono i più esposti alle polveri di cereali.
Esiste una sorta di selezione naturale, dovuta al fatto che spesso i soggetti affetti da patologie asmatiche preferiscono cambiare lavoro: gli studi di prevalenza e le indagini epidemiologiche prospettiche risentono dell’interferenza di questo importante fattore.

Il grano tenero o comune (Triticum sativum) ha cariossidi friabili a struttura farinosa, bianca, opaca; il grano semiduro o turgido (Triticum turgidum) ha cariosside rigonfia, cornea, meno friabile e farinosa; il grano duro (Triticum durum) ha cariosside a struttura vitrea, semitrasparente e grani di forma prismatica, allungata: esso, secondo la normativa europea, “deve avere un colore dal giallo ambra al giallo bruno e presentare alla frattura un aspetto vitreo, traslucido e corneo.”

Riso, orzo e farro vengono consumati in chicchi, ma la maggior parte dei cereali viene utilizzata dopo essere stata trasformata in farina.

Il processo di molitura, preceduta da una fase di pulitura e da una di condizionamento (ove vengono regolarizzate temperatura e umidità del frumento), avviene industrialmente con macine a cilindri (originariamente si utilizzavano macine di pietra, o “palmenti”).
Coppie di cilindri metallici dotati di scanalature trasversali per rompere il chicco ruotano in senso opposto tra di loro. La grandezza delle scanalature e la distanza dei cilindri determinano tre diverse moliture: con la prima viene eliminata la crusca, con la seconda il cruschello, con la terza, ancora più fine, il tritello. Crusca, cruschello e tritello sono costituiti da fibre e costituiscono lo scarto, pari a circa il 20-25 % del frumento grezzo. Una ulteriore molatura c.d. di rimacina, effettuata con cilindri lisci, serve a raffinare gli sfarinati.

A seconda delle granulometrie raggiunte la farina viene classificata in: semola, integrale, 1, 0, 00, che rappresentano il c.d. grado di “abburattamento”, dal nome del setaccio (“buratto”) utilizzato per separare i granuli di diversa grandezza.
Le farine più raffinate possiedono una minor quantità di fibre, proteine, vitamine, grassi, enzimi (tutte sostanze contenute in maggior quantità nella parte esterna del chicco, che viene asportata), e una maggior quantità di amido.

La farina è costituita per la maggior parte da amido (70% del peso) e da glutine (12% circa).

Il glutine, composto da gliadina e glutenina, è la componente proteica del frumento. La trama costituita dal reticolo formato dalle maglie di glutine conferisce agli impasti caratteristiche di elasticità e di resistenza meccanica (a seconda della c.d. “forza” della farina) le quali rendono l’impasto più resistente e più solido e diminuiscono la possibilità che esso una volta lievitato si sgonfi. Farine con buon tenore proteico (come quelle da grano duro) possiedono inoltre una maggiore capacità di trattenere acqua, migliorando la qualità del pane.

Le farine forti sono usate per impasti lievitati per pasticceria e per pizze e per i pani a mollica compatta (es. pani “pugliesi”).
Farine medie sono usate per pane francese, pane all’olio e in pizzeria.
Farine deboli sono preferite per grissini, cialde, biscotti e piccola pasticceria: assorbono infatti una minore quantità di acqua.

Il contenuto glucidico, costituito essenzialmente da amido, viene scisso da enzimi in zuccheri, i quali nel processo fermentativo prodotto dai lieviti danno luogo alla formazione di alcool e anidride carbonica. Quest’ultima viene imprigionata nel reticolo formato dal glutine, la cui formazione reticolare, a partire dalla gliadine e dalla glutenina, è favorito dai processi meccanici dell’impastamento.
Da questo processo deriva il rigonfiamento di tutto l’impasto.
L’arricchimento in amido della farina, comporta la formazione di una mollica più morbida e meno compatta.

La fase di cottura comporta inizialmente un ulteriore aumento della lievitazione, che termina intorno ai 50 gradi per la morte dei lieviti; successivamente intorno ai 100 gradi l’impasto, disidratandosi progressivamente, diventa rigido; a 130 gradi circa si comincia a formare la crosta, solida e giallastra a causa della trasformazione dell’amido in destrine, le quali la rendono meglio digeribile della mollica. Quest’ultima presenta al suo interno le cavità prodotte dalle bolle di CO2 formatosi nell’impasto.

Alla farina sono aggiunti frequentemente additivi: ac. Ascorbico, alfa-amilasi, farina di soia e di fave, ma anche lecitina e malto il cui scopo è soprattutto quello di migliorare la qualità del prodotto della panificazione.
Deiezioni e residui somatici di acari e microrganismi (alcuni dei quali produttori di tossine), muffe (Alternaria e Aspergillus) e infestanti (Ephestia kuehniella) o deiezioni e resti di insetti infestanti (strobilus granarius) ne sono i principali inquinanti.
Gas irritanti possono essere usati nei processi di fermentazione e nella cottura.

L’alfa-amilasi, di origine fungina (Aspergillus oryzae), viene aggiunta per accrescere il quantitativo naturale di amilasi presente nella farina: l’enzima catalizza la fermentazione degli idrati di carbonio da parte dei lieviti (Saccaromyces cerevisiae). E’ dotata di un forte potere allergizzante, essendo in grado di sensibilizzare anche fino ad un terzo degli esposti. L’attività allergenica della alfa-amilasi persiste anche dopo la cottura, e interessa particolarmente la crosta del pane.

Facilitano la fermentazione dell’impasto anche enzimi catalizzanti la trasformazione degli zuccheri. La xylanasi, di origine fungina (Aspergillus niger), provoca l’idrolisi della emicellulosa accelerando la lievitazione della pasta e conferendo migliore qualità al pane. Cellulasi, emicellulasi e aminoglucosidasi sono utilizzate per la produzione di fette biscottate e di biscotti. Un enzima ad attività enolasica è presente nel lievito di birra, costituito da materiale fungino (Saccaromyces cerevisiae).

Lecitina di soia (usata per le sue proprietà emulsionante), farina di soia (usata per rendere più bianca la mollica), malto, grani di sesamo e uova in polvere sono aggiunti spesso alla farina per la preparazione di particolari prodotti. Anche queste sostanze possono di per sé provocare reazioni allergiche.
Le piccole molecole proteiche del frumento (soprattutto albumine) a basso peso molecolare sono considerate allergeni maggiori.

Sembra che una fase di iperreattività bronchiale aspecifica preceda l’insorgenza dell’asma da frumento. L’insorgenza della congiuntivite e della rinite è in media leggermente più precoce rispetto all’insorgenza delle manifestazioni asmatiche.
La sensibilizazione attraverso la via digerente è possibile ed può essere una delle cause della notevole diffusione, anche ai non esposti, della presenza di reagine (IgE) verso gli antigeni del frumento.
Per tale motivo la presenza di cutireazione positiva per il dermatophagoides farinae non è patognomonico per una allergia alla farina di frumento. Per di più tale acaro è presente anche nelle polveri di casa, in misura talora anche superiore a quella del dermatophagoides pteronyssimus.
Inoltre non esiste una relazione univoca tra la positività della cutireazione e le manifestazioni asmatiche.
Sensibilizzazione ed asma possono regredire pur continuando il lavoro.

Le polveri di cereali (piante erbacee quasi tutte della famiglia delle graminacee: frumento o grano, segala, avena, granturco, mais, orzo e riso; -il grano saraceno appartiene invece alle Poligonacee-) possono determinare patologie dell’apparato respiratorio dovute a meccanismi differenti:
-immunologico (immunoreazioni di tipo I e III; queste ultime responsabili anche delle alveoliti allergiche estrinseche – “farmer’s lung”, polmone del contadino, o “thresher’s lung”, polmone del trebbiatore);
-paraimmunologico (attivazione del complemento);
-farmacologico (azione similistaminica)
-di ordine fisico-chimico (irritanti)
-tossico (la febbre da cereali “grain fever”, aspecifica e non immunologica, è stata attribuita all’azione di endotossine batteriche).

Il rilievo anamnestico e/o segni di atopia e la presenza di sindrome da iperreattività bronchiale (positività al test alla acetilcolina) sono indicativi di suscettibilità all’asma da farina, mentre la cutireazione positiva non sempre depone per una sensibilizzazione specifica, né si accompagna necessariamente ad asma.
Il lavoro del medico competente in questo ambito non è pertanto scevro da difficoltà.
_____

Partendo dalla constatazione che manifestazioni patologica da esposizione alle polveri di farine possono insorgere in qualsiasi momento della carriera di un panettiere e che è pertanto necessario che egli adotti costantemente ogni precauzione per limitarne l’esposizione, è stato condotto in Francia a partire dal 1999 uno studio pilota nel corso del quale sono state analizzate le fasi più critiche della lavorazione e proposte le soluzioni più elementari, condensate in un opuscolo distribuito ai lavoratori del comparto.

Misure elementari a costo zero per diminuire l’esposizione dei fornai alla polvere di farina sono le seguenti:

· Vuotare il sacco di farina senza scuoterlo;
· Versare la farina nell’acqua (e non l’inverso);
· Spargere la farina a mano o con il setaccio, senza lanciarla;
· Pulire il piano di lavoro con il raschietto usato per tagliare l’impasto e non con l’uso di strumenti soffianti (mantici o soffietti);
· Tenere separati gli abiti da lavoro da quelli civili;
· Non scuotere, nè spazzolare gli abiti da lavoro, ma lavarli;
· Evitare correnti d’aria.

La ventilazione dei locali, l’adozione di schermi chiusi sulle impastatrici, le aspirazioni localizzate, l’uso industriale di tramogge a vite perpetua e ad avanzamento lento per movimentare le farine sono le tappe ulteriori, ma di maggior costo, della prevenzione primaria in tale comparto produttivo.

Il farinaio (locale ove viene immagazzinata la farina), le fasi di trasporto e di pesata di farina e ingredienti, il caricamento della impastatrice e la fase di impastatura, il setacciamento, l’infarinatura dei piani di lavoro e di cottura e le operazioni di pulizia rappresentano le fasi più delicate per la diffusione delle polveri: ciascuna di queste fasi viene analizzata nei suoi aspetti e nelle misure tecniche di prevenzione primaria applicabili in "Prévention des allergies respiratoires professionnelles en boulangerie-pâtisserie. 'Le souffle des boulangers, un enjeu de santé au travail", documento conclusivo del comitato pilota (costituito da associazioni di categoria, ente assicuratore e società scientifiche).
Ne riassumiamo alcuni passaggi.

Rompere il fondo del sacco per evitare vuoti d’aria sembrava un buon sistema per diminuire il rilascio di polveri durante lo svuotamento dei sacchi: in realtà si è visto che la manovra del taglio del fondo del sacco e la caduta più rapida del contenuto potevano permettere il sollevamento di significative quantità di polvere in prossimità delle vie aeree del lavoratore; per tale motivo tale manovra è stata ritenuta troppo critica per essere raccomandata.

Utilizzare sacchi di 25 kg piuttosto che quelli da 50 kg e vuotare i sacchi in più volte è consigliato; un buon sistema è anche quello di appoggiare la estremità aperta del sacco sul fondo della vasca dell’impastatrice e sollevarlo con delicatezza tirandolo dall’altra estremità: è importante limitare quanto più possibile l’altezza di caduta della farina. E’ consigliato non scuotere fortemente il sacco vuoto e chiuderlo, quindi piegarlo dolcemente o arrotolarlo. L’uso di maniche di tessuto tra la tramoggia di pesata ed il fondo dell’impastatrice permettono il trasporto della farina con scarso rilascio di polvere se la manica è di sufficiente lunghezza.

Durante la impastatura possono aversi rilasci di polveri sia nelle prime fasi di impastatura, sia nei momenti di aggiunta di farine e/o additivi. Questa procedura di correzione dell’impasto durante la impastatura è molto seguita, così come molto importante è, per il panettiere, controllare a vista e anche al tatto la qualità dell’impasto. Ciò crea qualche resistenza all’uso di schermature piene. La sostituzione alla griglia di sicurezza con uno schermo pieno consente una riduzione della esposizione in questa fase (20% della esposizione media e 50% della esposizione di picco). Tuttavia le schermature opache non sono tali da permettere un soddisfacente controllo a vista dell’impasto: schermature grigliate solo parzialmente sembrano una soluzione di compromesso consigliabile.

E’ molto importante ridurre la velocità d’azione dell’impastatrice, soprattutto nelle prime fasi (primi 5 minuti), quando farina e acqua non sono ancora sufficientemente amalgamate e parte della farina non è ancora bagnata; utile ridurre la velocità anche dopo ogni aggiunta di farina. E’ stato proposto anche un metodo opposto, consistente nel rendere più rapido il movimento della impastatrice nel primo minuto, per accelerare il processo di bagnatura.
Vengono sollevate polveri di frumento soprattutto nei primi momenti, con rapido decremento entro i primi due minuti. La normativa europea EN 453 prescrive schermo pieno (ma sono consentite aperture per aggiungere ingredienti, prelevare campioni, vedere e toccare l’impasto), basse velocità iniziali (nei primi 2 minuti) e aspirazione localizzata.

I macchinari utilizzati per dividere in pezzature e dare forma all’impasto dovrebbero essere dotati di sistemi anti proiezione, in grado di aspirare verso la parte posteriore della macchina la farina, raccogliendola in una vaschetta di raccolta, onde evitare che la sovrappressione nella fase di stampaggio delle forme proietti farina dal fronte della macchina verso l’operatore.

Per diminuire l’aderenza dell’impasto sul piano di lavoro, in alternativa alla farina può essere usato anche olio, ma in tal caso occorre far in modo che la pressione con cui l’olio viene spruzzato non crei aerosol nell’ambiente lavorativo.
Le operazioni di spolvero della farina sul piano di lavoro possono essere effettuate con farine a scarso rilascio di polvere. A tale scopo si utilizzano farine trattate con olio vegetale; farine di grossa taglia appositamente separate in mulino (c.d. farina “rotonda” o "di passaggio"); farina “incapsulata”, trattata con grassi; farina biscottiera, a minore contenuto proteico; farina di riso; amido.

L’uso del setaccio permette una distribuzione omogenea della farina con poca produzione di polvere se il setaccio è tenuto più vicino possibile al piano o alla sfoglia.
Lo spolvero di farina sui piani di lavoro è una operazione delicata, che può rilasciare polvere; durante la giornata lavorativa tale operazione è ripetuta numerosissime volte.

Le operazioni di pulizia possono provocare rilevanti sollevamenti di polvere: l’uso di aspirapolvere con filtro ad alta aspirazione e le operazioni eseguite ad umido con l’uso di raschietto sono da preferire all’uso di scopette o di strofinacci, ma queste ultime modalità sono tuttora ancora molto seguite.
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mirko
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Località: Roma

Grazie Gino, molto utilie.


Ciao
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