Qualcuno mi può confermare che il ddl può effettuare ispezioni sull'armadietto spogliatoio in uso al lavoratore senza preavviso sindacale e senza la presenza dello stesso lavoratore essendo l'armadietto all'interno dell'azienda e di proprietà della stessa? A patto che non effettui perquisizioni sugli effetti personali es. borse e quant'altro?
Grazie per ogni intervento.
Gianni.
Il forum di SICUREZZAONLINE è stato ideato, realizzato e amministrato per oltre 15 anni da Giuseppe Zago (Mod).
A lui va la nostra gratitudine ed il nostro affettuoso ricordo.
A lui va la nostra gratitudine ed il nostro affettuoso ricordo.
Ispezione armadietti spogliatoio
No, il DdL non può. Ho trovato questo trattato che richiama la Costituzione e lo Statuto dei Lavoratori:
Le perquisizioni all’uscita dall’azienda. — La funzione della clausola contrattuale circa la possibilita` che i
lavoratori siano sottoposti a «visite personali di controllo» — grazioso eufemismo che sostituisce il piu` crudo ma piu`
appropriato termine «perquisizioni» — e` quella di offrire al datore di lavoro una protezione efficace contro i rischi
derivanti dall’inserimento dei lavoratori stessi nel cuore dell’azienda. È l’obbiettiva maggiore vulnerabilita` del
patrimonio dell’azienda conseguente all’inserzione in essa di persone diverse dal titolare, e non una impensabile
«presunzione di disonesta`» di queste (49), il motivo dell’adozione di misure preventive. Anche le biblioteche e i grandi
magazzini si premuniscono contro i furti, senza che per questo possa dirsi violata la dignita` o l’onorabilita` di chi li
frequenta; e nessun viaggiatore si sente accusato di essere un terrorista per il fatto che un agente di pubblica sicurezza lo
perquisisca prima dell’imbarco su di un aereo.
Mentre il sacrificio dell’onore o della dignita` del lavoratore sarebbe comunque a priori inammissibile, secondo il netto
dettato del secondo comma dell’art. 41 Cost., il sacrificio contrattuale della riservatezza del lavoratore e` suscettibile di
una valutazione giuridica favorevole quando esso sia proporzionato alle legittime esigenze che mediante la disposizione
pattizia si sono volute soddisfare (50). Nel caso delle perquisizioni sulla persona del lavoratore all’uscita dell’azienda,
quel sacrificio non puo` essere giustificato da qualsiasi esigenza di protezione del patrimonio aziendale, ma soltanto
un’esigenza particolare, che non possa essere soddisfatta altrimenti. Cosi`, esso non puo` considerarsi giustificato in
tutti i casi in cui il datore di lavoro abbia a disposizione altri mezzi per proteggere adeguatamente il proprio patrimonio:
dai piu` semplici (come quello di vietare l’introduzione di borse nei reparti di lavoro, far sorvegliare l’uscita dai reparti
stessi, controllare alla fine dell’orario il materiale affidato al lavoratore) ai piu` sofisticati (come i metal detectors, o i
rivelatori magnetici in uso nei grandi magazzini, che consentono di acquisire indizi consistenti a carico di determinate
persone, contro le quali e` poi possibile chiedere immediatamente l’intervento dell’autorita` di pubblica sicurezza, o
addirittura — ricorrendone i presupposti — procedere all’arresto in flagranza di reato per mezzo del personale di
guardia, a norma dell’art. 383 c.p.p.). L’equilibrio tra il sacrificio della riservatezza del lavoratore e l’esigenza che lo
determina si ristabilisce soltanto quando sussistano due condizioni: la segretezza, pericolosita` o elevato valore
economico delle materie prime, dei prodotti o degli strumenti di lavoro (ad esempio: metalli preziosi, punte di diamante,
sostanze chimiche segrete o pericolose, materiale esplosivo o fissile) e l’impossibilita` di provvedere alla prevenzione
dei furti altrimenti che con le perquisizioni personali all’uscita del luogo di lavoro. In presenza di entrambe questi
requisiti, la clausola con la quale il lavoratore si assoggetta alla «visita personale di controllo» appare come un mezzo di
protezione adeguato rispetto alla gravita` del rischio a cui il datore di lavoro e` obbiettivamente esposto per le
condizioni particolari nelle quali il rapporto contrattuale si svolge: tale protezione e` qui indispensabile al datore di
lavoro al punto che essa puo` quasi essere equiparata, nella struttura del rapporto, alle esigenze organizzative essenziali
del processo produttivo.
Alle due anzidette condizioni per la validita` della clausola contrattuale indicate nel paragrafo precedente fa riferimento
esplicito il primo comma dell’art. 6 dello Statuto, subordinando la legittimita` delle perquisizioni ai requisiti della
«indispensabilita`» delle stesse e della particolare «qualita` degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei
prodotti» (51).
L’art. 6 pone inoltre, per la legittimita` delle perquisizioni, un requisito procedurale identico a quello posto dall’art. 4
per l’installazione di apparecchiature di controllo a distanza (§ 441): la necessita`, cioe`, che la sussistenza del
giustificato motivo sia preventivamente discussa con le rappresentanze sindacali aziendali e che venga raggiunto con
esse un accordo in materia. Anche qui, come nella materia disciplinata dall’art. 4, l’accordo collettivo, ove non sia stato
possibile stipularlo per l’indisponibilita` delle rappresentanze sindacali, puo` essere sostituito dall’autorizzazione
dell’ispettorato del lavoro. Stante la perfetta identita` delle due norme per questo aspetto, rinvio a quanto gia` detto in
riferimento all’art. 4 circa la necessita` della sussistenza di entrambi requisiti, quello sostanziale e quello formale,
perche´ la prassi delle perquisizioni all’uscita del luogo di lavoro possa essere considerata legittima: anche in presenza
di accordo sindacale il lavoratore puo` contestare tale prassi per difetto della giustificazione sostanziale.
Nei casi in cui entrambi i suddetti requisiti sussistano, le perquisizioni «potranno essere effettuate soltanto a condizione che siano eseguite all’uscita dei luoghi di lavoro, che siano salvaguardate la dignita` e la riservatezza del lavoratore e
che avvengano con l’applicazione di sistemi di selezione automatica riferiti alla collettivita` o a gruppi di lavoratori»
(art. 6, 2o c.).
La prima disposizione — che le perquisizioni siano eseguite soltanto all’uscita dei luoghi di lavoro — potrebbe apparire
pleonastica rispetto alla regola contenuta nel primo comma: e` infatti difficile concepire un motivo specifico per la
perquisizione del lavoratore all’entrata del luogo di lavoro, che sia attinente alla «tutela del patrimonio aziendale» (la
perquisizione in entrata avveniva, in epoca precedente allo Statuto, per impedire l’introduzione in azienda di materiale
di propaganda sindacale o politica); farebbe difetto dunque quell’esigenza che sola puo` giustificare la perquisizione. La
disposizione contenuta nel secondo comma acquista invece un significato notevole se vi si legge un divieto di
perquisizioni effettuate nel luogo di lavoro e durante l’esecuzione del lavoro. Tali perquisizioni potrebbero forse essere
giustificate da un fine di «tutela del patrimonio aziendale»; ma il legislatore ha voluto ancora una volta — come gia`
con il terzo comma dell’art. 2 (§ 440) e l’art. 4 (§ 441) — proteggere la tranquillita` del lavoratore, confermando il suo
diritto ad essere lasciato in pace all’interno del luogo di lavoro. Se questa e` la ratio della disposizione, devono ritenersi
consentite — ricorrendone il giustificato motivo — anche le «visite personali di controllo» eseguite all’uscita dei
singoli reparti dove il lavoro si svolge e non soltanto quelle eseguite all’uscita dal perimetro esterno dell’azienda (52).
Quanto alla necessita` di un sistema di «selezione automatica» dei dipendenti sui quali la perquisizione viene eseguita,
e` indiscutibile che tale disposizione miri a proteggere innanzitutto il lavoratore contro un possibile uso intimidatorio,
discriminatorio o ingiurioso, nei suoi confronti, della facolta` di perquisizione. Ma la stessa disposizione mira, a mio
avviso, anche a impedire che vengano sottoposti a perquisizione tutti i lavoratori addetti a un determinato stabilimento o
reparto: il controllo puo` essere effettuato soltanto su di una parte di essi, individuata appunto di volta in volta attraverso
il meccanismo di selezione automatica, e cio` per evitare che il controllo stesso assuma un carattere oppressivo.
Un altro quesito che puo` porsi e` se il termine «selezione automatica» debba essere inteso esclusivamente nel senso di
«scelta casuale» del lavoratore da sottoporre al controllo (53), o possa essere inteso piu` genericamente nel senso di
«scelta sottratta alla discrezionalita` della direzione aziendale o del personale di sorveglianza»; se si accoglie questa
seconda interpretazione — che a mio avviso corrisponde meglio della prima alla ratio della norma — deve considerarsi
legittima l’applicazione di un sistema di selezione automatica dei lavoratori affidata non al caso, bensi`
all’individuazione, mediante speciali impianti, di indizi particolari che possano far pensare alla sottrazione di beni da
parte del lavoratore: viene sottoposto al controllo il lavoratore addosso al quale l’apposita apparecchiatura indica la
presenza di oggetti di metallo, oppure di oggetti recanti apposite piastrine magnetizzate, oppure di sostanze radioattive,
e cosi` via.
Resta infine da esaminare la disposizione piu` rilevante contenuta nel secondo comma dell’art. 6: il divieto di qualsiasi
forma di perquisizione che possa ledere la «riservatezza» o la «dignita`» del lavoratore. Il termine «riservatezza» e` qui
usato in un significato particolarmente ristretto: se infatti al termine venisse attribuito il suo significato giuridico
normale di «inviolabilita` della sfera privata» (§§ 438 e 445), si arriverebbe a vietare del tutto quelle perquisizioni che
invece la norma ha inteso autorizzare, sia pure con rigorose limitazioni e cautele. Quel termine deve dunque essere qui
interpretato come indicativo di una sfera «riservatissima», piu` ristretta di quella dalla quale la persona ha normalmente
il diritto di escludere gli estranei: e` consentito il controllo sul contenuto della borsa, del sacco, della valigia,
dell’autovettura (54) e degli altri «spazi riservati» che accompagnano la persona del lavoratore come una sorta di
prolungamento del domicilio; puo` in determinati casi particolari (quando gli oggetti di cui si teme la sottrazione siano
di piccolissime dimensioni) essere consentito anche il controllo del contenuto delle tasche e del portafogli del lavoratore
(55); ma non e` consentito, di regola, pretendere che il lavoratore si spogli dei suoi vestiti, o comunque pretendere di
procedere direttamente a una ispezione sul suo corpo (56). Un ulteriore significato che ben puo` essere attribuito alla
tutela della riservatezza prevista dal secondo comma e` il divieto di eseguire il controllo alla presenza di terzi, salvo che
questi accompagnino il lavoratore per sua stessa richiesta (57).
Il divieto di controlli che ledano la «dignita`» del lavoratore (divieto che poteva agevolmente desumersi, anche prima
dello Statuto del 1970, dall’art. 41 Cost.) sembra riferito alla forma piu` che all’oggetto dell’ispezione: la salvaguardia
della dignita` della persona impone, per esempio, che il personale addetto all’esecuzione del controllo tenga un
comportamento scrupolosamente corretto nei confronti del lavoratore, astenendosi da qualsiasi apprezzamento,
domanda o commento non strettamente necessario; che l’ispezione sul contenuto di borsette o indumenti delle
lavoratrici sia eseguita soltanto da personale femminile, e viceversa (58); che al lavoratore sia consentito di farsi
accompagnare al controllo da rappresentanti sindacali o da compagni di lavoro, che assistano all’operazione per poter
testimoniare su eventuali scorrettezze commesse dal personale addetto all’ispezione.
Per molti altri aspetti, poi, la salvaguardia della dignita` del lavoratore coincide perfettamente con la salvaguardia della
sua riservatezza.
Le perquisizioni all’uscita dall’azienda. — La funzione della clausola contrattuale circa la possibilita` che i
lavoratori siano sottoposti a «visite personali di controllo» — grazioso eufemismo che sostituisce il piu` crudo ma piu`
appropriato termine «perquisizioni» — e` quella di offrire al datore di lavoro una protezione efficace contro i rischi
derivanti dall’inserimento dei lavoratori stessi nel cuore dell’azienda. È l’obbiettiva maggiore vulnerabilita` del
patrimonio dell’azienda conseguente all’inserzione in essa di persone diverse dal titolare, e non una impensabile
«presunzione di disonesta`» di queste (49), il motivo dell’adozione di misure preventive. Anche le biblioteche e i grandi
magazzini si premuniscono contro i furti, senza che per questo possa dirsi violata la dignita` o l’onorabilita` di chi li
frequenta; e nessun viaggiatore si sente accusato di essere un terrorista per il fatto che un agente di pubblica sicurezza lo
perquisisca prima dell’imbarco su di un aereo.
Mentre il sacrificio dell’onore o della dignita` del lavoratore sarebbe comunque a priori inammissibile, secondo il netto
dettato del secondo comma dell’art. 41 Cost., il sacrificio contrattuale della riservatezza del lavoratore e` suscettibile di
una valutazione giuridica favorevole quando esso sia proporzionato alle legittime esigenze che mediante la disposizione
pattizia si sono volute soddisfare (50). Nel caso delle perquisizioni sulla persona del lavoratore all’uscita dell’azienda,
quel sacrificio non puo` essere giustificato da qualsiasi esigenza di protezione del patrimonio aziendale, ma soltanto
un’esigenza particolare, che non possa essere soddisfatta altrimenti. Cosi`, esso non puo` considerarsi giustificato in
tutti i casi in cui il datore di lavoro abbia a disposizione altri mezzi per proteggere adeguatamente il proprio patrimonio:
dai piu` semplici (come quello di vietare l’introduzione di borse nei reparti di lavoro, far sorvegliare l’uscita dai reparti
stessi, controllare alla fine dell’orario il materiale affidato al lavoratore) ai piu` sofisticati (come i metal detectors, o i
rivelatori magnetici in uso nei grandi magazzini, che consentono di acquisire indizi consistenti a carico di determinate
persone, contro le quali e` poi possibile chiedere immediatamente l’intervento dell’autorita` di pubblica sicurezza, o
addirittura — ricorrendone i presupposti — procedere all’arresto in flagranza di reato per mezzo del personale di
guardia, a norma dell’art. 383 c.p.p.). L’equilibrio tra il sacrificio della riservatezza del lavoratore e l’esigenza che lo
determina si ristabilisce soltanto quando sussistano due condizioni: la segretezza, pericolosita` o elevato valore
economico delle materie prime, dei prodotti o degli strumenti di lavoro (ad esempio: metalli preziosi, punte di diamante,
sostanze chimiche segrete o pericolose, materiale esplosivo o fissile) e l’impossibilita` di provvedere alla prevenzione
dei furti altrimenti che con le perquisizioni personali all’uscita del luogo di lavoro. In presenza di entrambe questi
requisiti, la clausola con la quale il lavoratore si assoggetta alla «visita personale di controllo» appare come un mezzo di
protezione adeguato rispetto alla gravita` del rischio a cui il datore di lavoro e` obbiettivamente esposto per le
condizioni particolari nelle quali il rapporto contrattuale si svolge: tale protezione e` qui indispensabile al datore di
lavoro al punto che essa puo` quasi essere equiparata, nella struttura del rapporto, alle esigenze organizzative essenziali
del processo produttivo.
Alle due anzidette condizioni per la validita` della clausola contrattuale indicate nel paragrafo precedente fa riferimento
esplicito il primo comma dell’art. 6 dello Statuto, subordinando la legittimita` delle perquisizioni ai requisiti della
«indispensabilita`» delle stesse e della particolare «qualita` degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei
prodotti» (51).
L’art. 6 pone inoltre, per la legittimita` delle perquisizioni, un requisito procedurale identico a quello posto dall’art. 4
per l’installazione di apparecchiature di controllo a distanza (§ 441): la necessita`, cioe`, che la sussistenza del
giustificato motivo sia preventivamente discussa con le rappresentanze sindacali aziendali e che venga raggiunto con
esse un accordo in materia. Anche qui, come nella materia disciplinata dall’art. 4, l’accordo collettivo, ove non sia stato
possibile stipularlo per l’indisponibilita` delle rappresentanze sindacali, puo` essere sostituito dall’autorizzazione
dell’ispettorato del lavoro. Stante la perfetta identita` delle due norme per questo aspetto, rinvio a quanto gia` detto in
riferimento all’art. 4 circa la necessita` della sussistenza di entrambi requisiti, quello sostanziale e quello formale,
perche´ la prassi delle perquisizioni all’uscita del luogo di lavoro possa essere considerata legittima: anche in presenza
di accordo sindacale il lavoratore puo` contestare tale prassi per difetto della giustificazione sostanziale.
Nei casi in cui entrambi i suddetti requisiti sussistano, le perquisizioni «potranno essere effettuate soltanto a condizione che siano eseguite all’uscita dei luoghi di lavoro, che siano salvaguardate la dignita` e la riservatezza del lavoratore e
che avvengano con l’applicazione di sistemi di selezione automatica riferiti alla collettivita` o a gruppi di lavoratori»
(art. 6, 2o c.).
La prima disposizione — che le perquisizioni siano eseguite soltanto all’uscita dei luoghi di lavoro — potrebbe apparire
pleonastica rispetto alla regola contenuta nel primo comma: e` infatti difficile concepire un motivo specifico per la
perquisizione del lavoratore all’entrata del luogo di lavoro, che sia attinente alla «tutela del patrimonio aziendale» (la
perquisizione in entrata avveniva, in epoca precedente allo Statuto, per impedire l’introduzione in azienda di materiale
di propaganda sindacale o politica); farebbe difetto dunque quell’esigenza che sola puo` giustificare la perquisizione. La
disposizione contenuta nel secondo comma acquista invece un significato notevole se vi si legge un divieto di
perquisizioni effettuate nel luogo di lavoro e durante l’esecuzione del lavoro. Tali perquisizioni potrebbero forse essere
giustificate da un fine di «tutela del patrimonio aziendale»; ma il legislatore ha voluto ancora una volta — come gia`
con il terzo comma dell’art. 2 (§ 440) e l’art. 4 (§ 441) — proteggere la tranquillita` del lavoratore, confermando il suo
diritto ad essere lasciato in pace all’interno del luogo di lavoro. Se questa e` la ratio della disposizione, devono ritenersi
consentite — ricorrendone il giustificato motivo — anche le «visite personali di controllo» eseguite all’uscita dei
singoli reparti dove il lavoro si svolge e non soltanto quelle eseguite all’uscita dal perimetro esterno dell’azienda (52).
Quanto alla necessita` di un sistema di «selezione automatica» dei dipendenti sui quali la perquisizione viene eseguita,
e` indiscutibile che tale disposizione miri a proteggere innanzitutto il lavoratore contro un possibile uso intimidatorio,
discriminatorio o ingiurioso, nei suoi confronti, della facolta` di perquisizione. Ma la stessa disposizione mira, a mio
avviso, anche a impedire che vengano sottoposti a perquisizione tutti i lavoratori addetti a un determinato stabilimento o
reparto: il controllo puo` essere effettuato soltanto su di una parte di essi, individuata appunto di volta in volta attraverso
il meccanismo di selezione automatica, e cio` per evitare che il controllo stesso assuma un carattere oppressivo.
Un altro quesito che puo` porsi e` se il termine «selezione automatica» debba essere inteso esclusivamente nel senso di
«scelta casuale» del lavoratore da sottoporre al controllo (53), o possa essere inteso piu` genericamente nel senso di
«scelta sottratta alla discrezionalita` della direzione aziendale o del personale di sorveglianza»; se si accoglie questa
seconda interpretazione — che a mio avviso corrisponde meglio della prima alla ratio della norma — deve considerarsi
legittima l’applicazione di un sistema di selezione automatica dei lavoratori affidata non al caso, bensi`
all’individuazione, mediante speciali impianti, di indizi particolari che possano far pensare alla sottrazione di beni da
parte del lavoratore: viene sottoposto al controllo il lavoratore addosso al quale l’apposita apparecchiatura indica la
presenza di oggetti di metallo, oppure di oggetti recanti apposite piastrine magnetizzate, oppure di sostanze radioattive,
e cosi` via.
Resta infine da esaminare la disposizione piu` rilevante contenuta nel secondo comma dell’art. 6: il divieto di qualsiasi
forma di perquisizione che possa ledere la «riservatezza» o la «dignita`» del lavoratore. Il termine «riservatezza» e` qui
usato in un significato particolarmente ristretto: se infatti al termine venisse attribuito il suo significato giuridico
normale di «inviolabilita` della sfera privata» (§§ 438 e 445), si arriverebbe a vietare del tutto quelle perquisizioni che
invece la norma ha inteso autorizzare, sia pure con rigorose limitazioni e cautele. Quel termine deve dunque essere qui
interpretato come indicativo di una sfera «riservatissima», piu` ristretta di quella dalla quale la persona ha normalmente
il diritto di escludere gli estranei: e` consentito il controllo sul contenuto della borsa, del sacco, della valigia,
dell’autovettura (54) e degli altri «spazi riservati» che accompagnano la persona del lavoratore come una sorta di
prolungamento del domicilio; puo` in determinati casi particolari (quando gli oggetti di cui si teme la sottrazione siano
di piccolissime dimensioni) essere consentito anche il controllo del contenuto delle tasche e del portafogli del lavoratore
(55); ma non e` consentito, di regola, pretendere che il lavoratore si spogli dei suoi vestiti, o comunque pretendere di
procedere direttamente a una ispezione sul suo corpo (56). Un ulteriore significato che ben puo` essere attribuito alla
tutela della riservatezza prevista dal secondo comma e` il divieto di eseguire il controllo alla presenza di terzi, salvo che
questi accompagnino il lavoratore per sua stessa richiesta (57).
Il divieto di controlli che ledano la «dignita`» del lavoratore (divieto che poteva agevolmente desumersi, anche prima
dello Statuto del 1970, dall’art. 41 Cost.) sembra riferito alla forma piu` che all’oggetto dell’ispezione: la salvaguardia
della dignita` della persona impone, per esempio, che il personale addetto all’esecuzione del controllo tenga un
comportamento scrupolosamente corretto nei confronti del lavoratore, astenendosi da qualsiasi apprezzamento,
domanda o commento non strettamente necessario; che l’ispezione sul contenuto di borsette o indumenti delle
lavoratrici sia eseguita soltanto da personale femminile, e viceversa (58); che al lavoratore sia consentito di farsi
accompagnare al controllo da rappresentanti sindacali o da compagni di lavoro, che assistano all’operazione per poter
testimoniare su eventuali scorrettezze commesse dal personale addetto all’ispezione.
Per molti altri aspetti, poi, la salvaguardia della dignita` del lavoratore coincide perfettamente con la salvaguardia della
sua riservatezza.
Per far crollare un palazzo di 15 piani servono 4 secondi e 30 anni di esperienza
Continuo a non capire tutta sta voglia di privacy da dove arriva..
Se non hai niente da nascondere, e non ti vergogni di quello che fai, per quale diavolo di motivo è necessario tenere tutti sti segreti?
Se non hai niente da nascondere, e non ti vergogni di quello che fai, per quale diavolo di motivo è necessario tenere tutti sti segreti?
"Dosis sola facit velenum"
Legge n.125/2001 Alcol e Lavoro:"Se il vino non lo reggi l'uva te la devi magnà a chicchi!"
Legge n.125/2001 Alcol e Lavoro:"Se il vino non lo reggi l'uva te la devi magnà a chicchi!"
Grazie per la risposta, io però ho trovato sul sito del ministero del lavoro un documento riguardante la videosorveglianza e che parla anche delle ispezioni negli armadietti spogliatoio (vedi ultima parte dellos tesso) e che incollo di seguito:
Quali sono le disposizioni che regolano la destinazione d’uso di appositi locali a
spogliatoi e l’installazione del sistema di videosorveglianza nei luoghi di lavoro?
(Risposta a quesito del 30 marzo 2010)
Nel procedere ad una disamina della fattispecie in questione, è opportuno effettuare
una previa analisi della normativa dettata in materia dal Titolo II del D.Lgs. 9 aprile 2008,
n. 81 e successive modifiche o integrazioni, e, in particolare, dall’allegato IV allo stesso
decreto che al punto 1.12 stabilisce che “il datore di lavoro è tenuto ad apprestare appositi
locali aziendali a spogliatoi ed a metterli a disposizione dei dipendenti, allorquando costoro
debbano indossare indumenti di lavoro specifici e destinati alla protezione ed alla tutela
della loro salute e quando per ragioni di salute o di decenza non si può loro chiedere di
cambiarsi in altri locali”.
L'espressione "indumenti di lavoro specifici", ivi contenuta, fa riferimento a divise (o
abiti) indossati dai lavoratori al fine di tutelare la loro integrità fisica nonché ad altri
indumenti necessari, in ragione della particolare natura della prestazione lavorativa, per
eliminare o quanto meno ridurre i rischi ad essa correlati o a rendere migliori le condizioni
igieniche dei luoghi di lavoro.
Deve pertanto escludersi – come ha osservato la Corte di Cassazione nella
sentenza del 6 maggio 2008 – dall'ambito di applicazione della citata disposizione
”qualsiasi riferimento a divise od a forme di abbigliamento, funzionalizzate ad altre e
diverse esigenze” (quali, ad esempio, le divise da indossare, allo scopo di consentire la
mera identificazione dei lavoratori da parte del datore di lavoro).
Nelle aziende che occupano fino a 5 dipendenti, tuttavia, lo spogliatoio può essere
unico per entrambi i sessi. In tal caso bisognerà prestabilire opportuni turni da concordarsi
nell’ambito dell’orario di lavoro.
Ai sensi dell’art. 4 della L. n. 300 /1970 (meglio nota come Statuto dei lavoratori), il
datore di lavoro intenzionato ad installare un sistema di videosorveglianza negli ambienti
preposti allo svolgimento delle attività lavorative dovrà innanzitutto rispettare il divieto di
controllo a distanza dell’attività lavorativa al fine di tutelare la privacy dei prestatori di
lavoro. E’, quindi, vietata l’installazione di sistemi di videosorveglianza in luoghi riservati
esclusivamente ai lavoratori o non destinati all’attività lavorativa come i bagni, gli
spogliatoi, gli armadietti ed i luoghi ricreativi o di riunione dei lavoratori stessi perché
anche laddove il datore di lavoro riuscisse a dimostrarne l’utilità delle telecamere ai fini
della sicurezza, dovrebbe considerarsi comunque prevalente il diritto alla riservatezza dei
lavoratori.
L’installazione di sistemi di videosorveglianza posizionati negli spogliatoi, come
chiarito dal Garante per la privacy, non è vietata in assoluto essendo ammissibile
nell’ipotesi in cui ci si voglia tutelare da possibili danni o furti (ad esempio in locali dove ci
sono dei macchinari o dei mezzi da lavoro), ma è necessario che siano presi degli
accorgimenti tecnici tali da non consentire riprese dirette delle persone che utilizzano gli
spogliatoi (in considerazione del fatto che questi ultimi non sono luoghi di produzione) e,
inoltre, “devono risultare parimenti inefficaci altri idonei accorgimenti quali controlli da parte
di addetti, sistemi di allarme, misure di protezione degli ingressi, abilitazione agli ingressi”.
La videosorveglianza, pertanto, deve considerarsi come extrema ratio e non come
soluzione primaria.
Per quanto riguarda, infine, il controllo a campione da parte del datore di lavoro
negli armadietti occorre, innanzitutto, osservare che secondo l’orientamento della
prevalente giurisprudenza di merito, quando l’ispezione deve avere ad oggetto
l’armadietto-ripostiglio di un lavoratore, quest’ultima possa avere luogo senza la necessità
di un preventivo accordo con le rappresentanze sindacali, atteso che l’armadietto stesso
non può essere ricompreso nel concetto di visita personale, costituendo uno spazio di
proprietà aziendale ed avendo l’esclusiva funzione di contenere gli abiti civili dei lavoratori,
durante l’orario di lavoro e non costituendo, quindi, una pertinenza della persona del
lavoratore a differenza dei suoi vestiti, sia indossati sia appoggiati e a differenza anche di
cartelle, sporte o contenitori d’uso sia portati al momento sia lasciati da qualche parte.
Quindi, il datore di lavoro, può effettuare dei controlli negli armadietti ma non può
procedere alla perquisizione di borse o contenitori personali eventualmente collocati nello
stesso.
Quali sono le disposizioni che regolano la destinazione d’uso di appositi locali a
spogliatoi e l’installazione del sistema di videosorveglianza nei luoghi di lavoro?
(Risposta a quesito del 30 marzo 2010)
Nel procedere ad una disamina della fattispecie in questione, è opportuno effettuare
una previa analisi della normativa dettata in materia dal Titolo II del D.Lgs. 9 aprile 2008,
n. 81 e successive modifiche o integrazioni, e, in particolare, dall’allegato IV allo stesso
decreto che al punto 1.12 stabilisce che “il datore di lavoro è tenuto ad apprestare appositi
locali aziendali a spogliatoi ed a metterli a disposizione dei dipendenti, allorquando costoro
debbano indossare indumenti di lavoro specifici e destinati alla protezione ed alla tutela
della loro salute e quando per ragioni di salute o di decenza non si può loro chiedere di
cambiarsi in altri locali”.
L'espressione "indumenti di lavoro specifici", ivi contenuta, fa riferimento a divise (o
abiti) indossati dai lavoratori al fine di tutelare la loro integrità fisica nonché ad altri
indumenti necessari, in ragione della particolare natura della prestazione lavorativa, per
eliminare o quanto meno ridurre i rischi ad essa correlati o a rendere migliori le condizioni
igieniche dei luoghi di lavoro.
Deve pertanto escludersi – come ha osservato la Corte di Cassazione nella
sentenza del 6 maggio 2008 – dall'ambito di applicazione della citata disposizione
”qualsiasi riferimento a divise od a forme di abbigliamento, funzionalizzate ad altre e
diverse esigenze” (quali, ad esempio, le divise da indossare, allo scopo di consentire la
mera identificazione dei lavoratori da parte del datore di lavoro).
Nelle aziende che occupano fino a 5 dipendenti, tuttavia, lo spogliatoio può essere
unico per entrambi i sessi. In tal caso bisognerà prestabilire opportuni turni da concordarsi
nell’ambito dell’orario di lavoro.
Ai sensi dell’art. 4 della L. n. 300 /1970 (meglio nota come Statuto dei lavoratori), il
datore di lavoro intenzionato ad installare un sistema di videosorveglianza negli ambienti
preposti allo svolgimento delle attività lavorative dovrà innanzitutto rispettare il divieto di
controllo a distanza dell’attività lavorativa al fine di tutelare la privacy dei prestatori di
lavoro. E’, quindi, vietata l’installazione di sistemi di videosorveglianza in luoghi riservati
esclusivamente ai lavoratori o non destinati all’attività lavorativa come i bagni, gli
spogliatoi, gli armadietti ed i luoghi ricreativi o di riunione dei lavoratori stessi perché
anche laddove il datore di lavoro riuscisse a dimostrarne l’utilità delle telecamere ai fini
della sicurezza, dovrebbe considerarsi comunque prevalente il diritto alla riservatezza dei
lavoratori.
L’installazione di sistemi di videosorveglianza posizionati negli spogliatoi, come
chiarito dal Garante per la privacy, non è vietata in assoluto essendo ammissibile
nell’ipotesi in cui ci si voglia tutelare da possibili danni o furti (ad esempio in locali dove ci
sono dei macchinari o dei mezzi da lavoro), ma è necessario che siano presi degli
accorgimenti tecnici tali da non consentire riprese dirette delle persone che utilizzano gli
spogliatoi (in considerazione del fatto che questi ultimi non sono luoghi di produzione) e,
inoltre, “devono risultare parimenti inefficaci altri idonei accorgimenti quali controlli da parte
di addetti, sistemi di allarme, misure di protezione degli ingressi, abilitazione agli ingressi”.
La videosorveglianza, pertanto, deve considerarsi come extrema ratio e non come
soluzione primaria.
Per quanto riguarda, infine, il controllo a campione da parte del datore di lavoro
negli armadietti occorre, innanzitutto, osservare che secondo l’orientamento della
prevalente giurisprudenza di merito, quando l’ispezione deve avere ad oggetto
l’armadietto-ripostiglio di un lavoratore, quest’ultima possa avere luogo senza la necessità
di un preventivo accordo con le rappresentanze sindacali, atteso che l’armadietto stesso
non può essere ricompreso nel concetto di visita personale, costituendo uno spazio di
proprietà aziendale ed avendo l’esclusiva funzione di contenere gli abiti civili dei lavoratori,
durante l’orario di lavoro e non costituendo, quindi, una pertinenza della persona del
lavoratore a differenza dei suoi vestiti, sia indossati sia appoggiati e a differenza anche di
cartelle, sporte o contenitori d’uso sia portati al momento sia lasciati da qualche parte.
Quindi, il datore di lavoro, può effettuare dei controlli negli armadietti ma non può
procedere alla perquisizione di borse o contenitori personali eventualmente collocati nello
stesso.
Affermazione a dir poco "pericolosissima" (Grande Fratello docet...e non il programma TV).diaco ha scritto:Se non hai niente da nascondere, e non ti vergogni di quello che fai, per quale diavolo di motivo è necessario tenere tutti sti segreti?
La privacy è un bisogno umano fondamentale: ritenere che solo le persone disoneste abbiano bisogno di privacy vuol dire ignorare una caratteristica di base della psiche umana. Abbiamo un bisogno profondo di privacy. Chiudo la porta quando vado al bagno degli uomini, nonostante che là non accada nulla di segreto: voglio solo fare quell’attività da solo, e ogni società deve rispettare tale esigenza fondamentale di privacy. In ogni società in cui ciò non avviene, i cittadini hanno risposto con sotterfugi e creato loro aree private fuori dalla portata della sorveglianza governativa, non perché sono criminali, ma perché farlo è un bisogno umano fondamentale.
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Credo probabilmente di aver scritto "no" troppo velocemente. I due articoli giungono alla medesima conclusione cioè è consentito a determinate condizioni.
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