sono Maria e ringrazio tutti i partecipanti al forum per le risposte, devo dire pero' non tutte concordi. io nel frattempo mi sono informata ed ho chiesto consiglio ad una amica che esercita la professione di avvocato la quale ci ha dato i seguenti riferimenti normativi in base ai quali noi saremmo escluse dalla 626; ci hanno chiesto 900 €, vorremmo evitare questa spesa!!!
l’esclusione per l'impresa familiare è sancita dall’art.2 del DPR303/56, dall’art.3 del DPR 547/55 e ribadita dalla circolare del Ministero del lavoro n.154/96. a voi l'ardua sentenza!!!!
Il forum di SICUREZZAONLINE è stato ideato, realizzato e amministrato per oltre 15 anni da Giuseppe Zago (Mod).
A lui va la nostra gratitudine ed il nostro affettuoso ricordo.
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impresa familiare
concordo pienamente con l'avvovato di maria:
Ai sensi delle circolari M.L. n° 154/96, n° 28/97 e n° 30/98:
· Imprese familiari di cui all'articolo 230 bis del codice civile: la circolare M.L. n° 30 del 3 marzo 1998, superando la confusione creata con l'interpretazione delle due precedenti sull'argomento (154/96 e 28/97), specifica che le imprese familiari esonerate dagli obblighi di cui al D.Lgs. 626/94 sono quelle costituite ai sensi degli articoli 2087 e 230 bis del codice civile.
Mentre non è esonerato dagli obblighi suddetti l'imprenditore titolare di un'impresa individuale (o in forma societaria ?), che assume il familiare con regolare contratto. A rafforzare l'assunto, si specifica che in mancanza di contratto di assunzione, anche nel caso di ditta individuale, va presunta la semplice collaborazione, e quindi l'esonero dagli obblighi.
Non comprensibile e confusionario risulta invece il riferimento a "particolari situazioni di fatto" che possono essere individuate solo dal giudice e che, se rilevate, non escluderebbero l'impresa familiare dagli obblighi.
Pertanto, le imprese familiari con solo collaboratori familiari, non sono obbligate al rispetto del D.Lgs. 626/94.
Ai sensi delle circolari M.L. n° 154/96, n° 28/97 e n° 30/98:
· Imprese familiari di cui all'articolo 230 bis del codice civile: la circolare M.L. n° 30 del 3 marzo 1998, superando la confusione creata con l'interpretazione delle due precedenti sull'argomento (154/96 e 28/97), specifica che le imprese familiari esonerate dagli obblighi di cui al D.Lgs. 626/94 sono quelle costituite ai sensi degli articoli 2087 e 230 bis del codice civile.
Mentre non è esonerato dagli obblighi suddetti l'imprenditore titolare di un'impresa individuale (o in forma societaria ?), che assume il familiare con regolare contratto. A rafforzare l'assunto, si specifica che in mancanza di contratto di assunzione, anche nel caso di ditta individuale, va presunta la semplice collaborazione, e quindi l'esonero dagli obblighi.
Non comprensibile e confusionario risulta invece il riferimento a "particolari situazioni di fatto" che possono essere individuate solo dal giudice e che, se rilevate, non escluderebbero l'impresa familiare dagli obblighi.
Pertanto, le imprese familiari con solo collaboratori familiari, non sono obbligate al rispetto del D.Lgs. 626/94.
prendetemi pure per spavaldo ma continuo a non essere daccordo.
quelle che adducete voi sono semplici scappatoie, non me lo auguro di certo, ma in caso di infortunio, specie se grave, come la mettiamo con il giudice e la subordinazione di fatto ?
quelle che adducete voi sono semplici scappatoie, non me lo auguro di certo, ma in caso di infortunio, specie se grave, come la mettiamo con il giudice e la subordinazione di fatto ?
"lasciate il mondo un po' migliore di come l'avete trovato." BP
nell'impresa familiare non vi è subordinazione, solo collaborazione. la subordinazione si evince da un regolare contratto con cui il titolare assume il proprio familiare, in assenza di contratto va presunta la semplice collaborazione e quindi l'esonero dagli obblighi.
è la stessa circolare del M.L. a fugare tutti i dubbi creatisi con le precedenti circolari circa l'esatta interpretazione della norma.
la mia tesi non è il frutto di una "scappatoia" come sostiene Manfro, al contrario è il frutto della applicazione delle leggi, decreti e circolari esplicative in relazione a questo tema; sembra invece che nonostante una azienda sia esonerata, venga "costretta"ad adempiere "per forza" a degli obblighi!!!
è la stessa circolare del M.L. a fugare tutti i dubbi creatisi con le precedenti circolari circa l'esatta interpretazione della norma.
la mia tesi non è il frutto di una "scappatoia" come sostiene Manfro, al contrario è il frutto della applicazione delle leggi, decreti e circolari esplicative in relazione a questo tema; sembra invece che nonostante una azienda sia esonerata, venga "costretta"ad adempiere "per forza" a degli obblighi!!!
va be giusppe, sarà come dici tu, io quando capiterà di nuovo un'imprresa familiare, continuerò a consigliare diversamente tanto più che esiste la "maggior tutela", ricorda però che la subordinazione non è assolutamente SOLO prevista in contratti o accordi scritti, quella di fatto vi è e poi come....
buona domenica a tutti
buona domenica a tutti
"lasciate il mondo un po' migliore di come l'avete trovato." BP
La situazione mi sembra chiara.
Quanto scritto sulla carta è lapalissiano.
Nei fatti, però, non sempre le cose vanno così.
Settimanalmente ricevo una rivista che si occupa di diritto del lavoro e amministrazione del personale.
Le pagine dedicate alla giurisprudenza,ogni settimana, hanno almeno una sentenza (di un tribunale sparso per la penisola o della cassazione civile), dove vengono sviscerate le situazioni di cui sopra.
Spesso si tratta di procedimenti concretizzatisi a seguito di visite ispettive della DPL in aziende "familiari" et similia.
Il filo conduttore è sempre lo stesso: durante le visite della DPL era emersa una situazione "di fatto" in cui più soggetti appartenenti allo stesso nucleo familiare, operavano non in collaborazione tra loro ma sotto le direttive di uno di loro.
Da qui la DPL aveva fatto partire l'iter.
Quindi, personalmente, consiglio di essere molto cauti nel definire con facilità le aziende "familiari".
Ovviamente, questo è il mio parere. Poi ognuno faccia come crede.
Quanto scritto sulla carta è lapalissiano.
Nei fatti, però, non sempre le cose vanno così.
Settimanalmente ricevo una rivista che si occupa di diritto del lavoro e amministrazione del personale.
Le pagine dedicate alla giurisprudenza,ogni settimana, hanno almeno una sentenza (di un tribunale sparso per la penisola o della cassazione civile), dove vengono sviscerate le situazioni di cui sopra.
Spesso si tratta di procedimenti concretizzatisi a seguito di visite ispettive della DPL in aziende "familiari" et similia.
Il filo conduttore è sempre lo stesso: durante le visite della DPL era emersa una situazione "di fatto" in cui più soggetti appartenenti allo stesso nucleo familiare, operavano non in collaborazione tra loro ma sotto le direttive di uno di loro.
Da qui la DPL aveva fatto partire l'iter.
Quindi, personalmente, consiglio di essere molto cauti nel definire con facilità le aziende "familiari".
Ovviamente, questo è il mio parere. Poi ognuno faccia come crede.
OK, facciamo un esempio alla femminile, che poi sono facili da capire. Un esempio a caso, parliamo di me. Le noferpargole, ahimé, hanno scelto una strada professionale diversa dalla mia, ma supponiamo che così non sia stato. Essendo socie, per altro di capitale, se restano fuori di qui nulla a che vedere con 626. SE, e dico SE, invece fossero state socie lavoratrici, per quanto di capitale, per quanto non stipendiate ma, ad esempio, a prestazione professionale, con loro P.IVA e tutto il resto, 626 solo per art. 7, ossia notizie di rischi/pericoli reciproci. Se però, come sarebbe successo, le noferpargole avessero lavorato sotto le precise ed insindacabili direttive di datore di lavoro, nel loro caso di mammà, allora 626 tutto intero. E vi dirò: se fosse arrivata ispezione DPL mi facevano anche dentro-fuori per lavoro nero, giacchè il fatto che comunque quando non lavoravano gli passavo io dei soldini sicuramente sarebbe stato inteso con il fatto che erano dipendenti di fatto per le quali evadevo anche i contributi e quant'altro. Teniamo però presente che per le imprese commerciali ed artigiane esiste la figura dei "collaboratori familiari", per i quali il Titolare è tenuto a versare apposita contribuzione ai fini anche pensionistici, nonchè premio INAIL che se non erro è riscosso in quota parte tramite l'INPS; il tutto, deriva dal fatto che PRIMA del 1978, ossia prima del Sistema Sanitario Nazionale, sia artigiani che commercianti erano dotati di Cassa Mutua di previdenza ed assistenza settoriale, in virtù di apposite norme istitutive risalenti al 1960-61 (quella dei commercianti per la precisione era del 27/11/1960), che prevedevano che il familiare che prestasse la sua opera in "collaborazione" al titolare (che comunque era il Titolare dell'attività) godesse delle stesse tutele sociali (tipo pensione personale), mentre i semplici familiari (la moglie casalinga, i figli, le nonnette etc.) godevano della tutela sanitaria (e dunque assistenza) ma solo della eventuale reversibilità della pensione. C'è a dire che in caso di morte del Titolare, la moglie (o anche il marito, dipendeva...) diventava titolare dell'assistenza sanitaria come superstite (figli minori a carico compresi).
Tornando a Maria, che ha dato la stura a questo bel thread, mi rendo conto che le analogie possono in questo momento risultare scomode, tuttavia anche le sorelle collaboratrici dovrebbero fruire della possibilità sopra descritta. Quanto poi a "fare il documento sulla sicurezza", non scherziamo, la redazione scritta del documento è obbligatoria solo quando si superano le 10 unità lavoranti: se voi siete 3, e se 3 è ancora inferiore a 10, non c'è niente da scrivere. Se i 900 euro di cui parli sono per il corso di 16 ore, sono certa che presso l'associazione di categoria potrai avere la stessa prestazione per molto meno. Immagino che ciascuna di voi sia addetta a qualcosa in particolare, ma visto che siete in 3 ognuna di voi farà quello di cui c'è maggior bisogno a prescindere dalle preferenze o assegnazioni. Immagino che una sia addetta al taglio e misure, una alla cucitura/confezionamento e l'altra alle rifiniture (togli filo da imbastire, fai piega, attacca cerniera o bottoni, stira etc.), ma se capita di dover consegnare non mi meraviglierei a vedervi fino alle 11 di sera tutte a far pieghe e stirare i capi mano mano che si completano.
Quanto alla necessità del corso, sempre che venga fatto in maniera corretta, consiglierei se possibile di seguirlo, e pure tutte e 3, giusto per rispondere a tono eventualmente a qualche zelantissimo ispettore che vi possa richiedere chissà che "strologo". Vi suggerisco di avere comunque un impianto elettrico ben tarato, di fare attenzione ai cavi delle macchine da cucire (ma per voi sono il pane, quindi so che ci fate attenzione comunque) e sostituirli se si usurano, di non mettere la mano sotto il ferro da stiro , di usare spilli con la capocchia colorata, che sono tanto più graziosi ma soprattutto uno li vede subito e li toglie dopo l'imbastitura senza correre il rischio di infilarseli nel dito per sbaglio piegando una gonna o un pantalone, di prendere (se non l'avete già) l'abitudine di avere il puntaspilli sempre vicino per "parcheggiare" gli aghi tra le gugliate (anche uno a testa e di colore differente può servire a non litigare su chi ha preso l'ago giovanotto...), di usare dei portapenne per tenere le forbici (a punte in giù!) in posizione facile da manipolare, che dal piano di lavoro puntualmente ti cadono sul piede quando sposti la pezza residua, verificare sempre che il paradita del piedino delle macchine sia ben fissato, per il piedino da rollini usare i paradita, il ditale per le cuciture/imbastiture a mano specie sulle stoffe più spesse, etc. Tutte cose che di certo già fate, dico.
Alla femminile: appunto!
Nofer
P.S.: per i signori maschietti: ma voi davvero pensate che la sicurezza sia una prerogativa delle attività maschili? Siamo abituate, noi, da piccole! ...da millenni, per la verità :smt009
Tornando a Maria, che ha dato la stura a questo bel thread, mi rendo conto che le analogie possono in questo momento risultare scomode, tuttavia anche le sorelle collaboratrici dovrebbero fruire della possibilità sopra descritta. Quanto poi a "fare il documento sulla sicurezza", non scherziamo, la redazione scritta del documento è obbligatoria solo quando si superano le 10 unità lavoranti: se voi siete 3, e se 3 è ancora inferiore a 10, non c'è niente da scrivere. Se i 900 euro di cui parli sono per il corso di 16 ore, sono certa che presso l'associazione di categoria potrai avere la stessa prestazione per molto meno. Immagino che ciascuna di voi sia addetta a qualcosa in particolare, ma visto che siete in 3 ognuna di voi farà quello di cui c'è maggior bisogno a prescindere dalle preferenze o assegnazioni. Immagino che una sia addetta al taglio e misure, una alla cucitura/confezionamento e l'altra alle rifiniture (togli filo da imbastire, fai piega, attacca cerniera o bottoni, stira etc.), ma se capita di dover consegnare non mi meraviglierei a vedervi fino alle 11 di sera tutte a far pieghe e stirare i capi mano mano che si completano.
Quanto alla necessità del corso, sempre che venga fatto in maniera corretta, consiglierei se possibile di seguirlo, e pure tutte e 3, giusto per rispondere a tono eventualmente a qualche zelantissimo ispettore che vi possa richiedere chissà che "strologo". Vi suggerisco di avere comunque un impianto elettrico ben tarato, di fare attenzione ai cavi delle macchine da cucire (ma per voi sono il pane, quindi so che ci fate attenzione comunque) e sostituirli se si usurano, di non mettere la mano sotto il ferro da stiro , di usare spilli con la capocchia colorata, che sono tanto più graziosi ma soprattutto uno li vede subito e li toglie dopo l'imbastitura senza correre il rischio di infilarseli nel dito per sbaglio piegando una gonna o un pantalone, di prendere (se non l'avete già) l'abitudine di avere il puntaspilli sempre vicino per "parcheggiare" gli aghi tra le gugliate (anche uno a testa e di colore differente può servire a non litigare su chi ha preso l'ago giovanotto...), di usare dei portapenne per tenere le forbici (a punte in giù!) in posizione facile da manipolare, che dal piano di lavoro puntualmente ti cadono sul piede quando sposti la pezza residua, verificare sempre che il paradita del piedino delle macchine sia ben fissato, per il piedino da rollini usare i paradita, il ditale per le cuciture/imbastiture a mano specie sulle stoffe più spesse, etc. Tutte cose che di certo già fate, dico.
Alla femminile: appunto!
Nofer
P.S.: per i signori maschietti: ma voi davvero pensate che la sicurezza sia una prerogativa delle attività maschili? Siamo abituate, noi, da piccole! ...da millenni, per la verità :smt009
Nofer
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Ognuno di noi, da solo, non vale nulla.
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Ognuno di noi, da solo, non vale nulla.
alla fine noto con piacere che Nofer e Catanga mi appoggiano sulla sintesi riportata anche su un altro topic, ma per dare una fine a questo discorso almeno da parte mia faccio un riepilogo esplicativo preso da un ennesimo testo sulla sicurezza:
La 626 non è applicabile come chiarito nella circolare 19 novembre 1996, n.154/96, del Ministero del lavoro – ai collaboratori familiari di cui all’art..230-bis del c.c. , vale a dire al coniuge, ai parenti entro il 3° grado e agli affini entro il 2° grado, perché questi non vengono richiamati espressamente nemmeno fra gli equiparati e non possono essere inquadrati nella categoria dei lavoratori con rapporto di lavoro subordinato. Con la successiva circolare n. 28/97, il predetto Ministero ha ulteriormente precisato che nell’ipotesi di una ditta individuale la normativa di prevenzione si applica ai collaboratori familiari solamente qualora sia riscontrabile un preciso vincolo di subordinazione e non una semplice collaborazione tra familiari.
Da ultimo, la circolare n. 30/98 ha definito il vincolo di subordinazione tra familiari, che sicuramente esiste nell’ipotesi di formale assunzione con contratto del familiare o nell’ipotesi che solo un giudice può individuare come tale di subordinazione derivante da particolari situazioni di fatto riscontrabili,
L’elemento da cui il legislatore fa discendere l’applicazione della normativa de qua è, in ultima analisi, l’esistenza di una prestazione svolta in regime di subordinazione, secondo i canoni del codice civile e, sulla scorta di tale principio, diventa consequenziale escludere dall’ambito della tutela prevenzionistica del D.Lgs. n. 626/1994 anche:
1. i lavoratori autonomi (artt. 2222 e segg. c.c.);
2. i lavoratori con rapporto di agenzia e di rappresentanza commerciale;
3. gli associati in partecipazione (art. 2549 c.c.);
4. i soci di cooperative o di società, anche di fatto, che non prestino attività lavorativa.
Pertanto, nel caso dei lavoratori autonomi, qualora questi non abbiano alle loro dipendenze lavoratori subordinati, le norme del D.Lgs. n. 626/1994 non trovano applicazione, mentre, nell’ipotesi che un imprenditore affidi loro dei lavori all’interno della propria azienda o dell’unità produttiva, questi è tenuto all’adempimento dei soli obblighi previsti dall’art. 7 del decreto stesso.
Qualora si tratti di un’impresa artigiana in forma individuale, la circolare 5 marzo 1997, n. 28/97, ha distinto due fattispecie:
1. la prima relativa al caso in cui i collaboratori familiari prestino la loro attività in maniera continuativa e sotto la direzione di fatto del titolare, per la quale è obbligatoria la tutela in materia di antinfortunistica e di igiene;
2. la seconda relativa al caso in cui tale subordinazione non sussista e il familiare esplichi la propria attività per motivi di affezione gratuitamente e in veste di alter ego del titolare, per la quale la tutela non va apprestata.
Risultano, in definitiva, soggette all’applicazione delle nuove norme tutte le attività nei diversi settori dell’industria, dei servizi, dell’agricoltura, del commercio, dell’ amministrazione, dell’edilizia, ecc., qualora non sussista una delle cause di esclusione testé richiamate.
Concludendo, il filo logico seguito dal legislatore — come si è potuto constatare — è quello di considerare sia la prevenzione sia la protezione come solidali per il perseguimento dell’obiettivo della tutela e della sicurezza sui luoghi di lavoro.
E per finire, un consiglio:
Non fatevi influenzare troppo dalla legislazione “caotica e interpretativa” ma al buon senso del cosidetto “buon padre di famiglia” che per il c.c. è di primaria importanza.
La 626 non è applicabile come chiarito nella circolare 19 novembre 1996, n.154/96, del Ministero del lavoro – ai collaboratori familiari di cui all’art..230-bis del c.c. , vale a dire al coniuge, ai parenti entro il 3° grado e agli affini entro il 2° grado, perché questi non vengono richiamati espressamente nemmeno fra gli equiparati e non possono essere inquadrati nella categoria dei lavoratori con rapporto di lavoro subordinato. Con la successiva circolare n. 28/97, il predetto Ministero ha ulteriormente precisato che nell’ipotesi di una ditta individuale la normativa di prevenzione si applica ai collaboratori familiari solamente qualora sia riscontrabile un preciso vincolo di subordinazione e non una semplice collaborazione tra familiari.
Da ultimo, la circolare n. 30/98 ha definito il vincolo di subordinazione tra familiari, che sicuramente esiste nell’ipotesi di formale assunzione con contratto del familiare o nell’ipotesi che solo un giudice può individuare come tale di subordinazione derivante da particolari situazioni di fatto riscontrabili,
L’elemento da cui il legislatore fa discendere l’applicazione della normativa de qua è, in ultima analisi, l’esistenza di una prestazione svolta in regime di subordinazione, secondo i canoni del codice civile e, sulla scorta di tale principio, diventa consequenziale escludere dall’ambito della tutela prevenzionistica del D.Lgs. n. 626/1994 anche:
1. i lavoratori autonomi (artt. 2222 e segg. c.c.);
2. i lavoratori con rapporto di agenzia e di rappresentanza commerciale;
3. gli associati in partecipazione (art. 2549 c.c.);
4. i soci di cooperative o di società, anche di fatto, che non prestino attività lavorativa.
Pertanto, nel caso dei lavoratori autonomi, qualora questi non abbiano alle loro dipendenze lavoratori subordinati, le norme del D.Lgs. n. 626/1994 non trovano applicazione, mentre, nell’ipotesi che un imprenditore affidi loro dei lavori all’interno della propria azienda o dell’unità produttiva, questi è tenuto all’adempimento dei soli obblighi previsti dall’art. 7 del decreto stesso.
Qualora si tratti di un’impresa artigiana in forma individuale, la circolare 5 marzo 1997, n. 28/97, ha distinto due fattispecie:
1. la prima relativa al caso in cui i collaboratori familiari prestino la loro attività in maniera continuativa e sotto la direzione di fatto del titolare, per la quale è obbligatoria la tutela in materia di antinfortunistica e di igiene;
2. la seconda relativa al caso in cui tale subordinazione non sussista e il familiare esplichi la propria attività per motivi di affezione gratuitamente e in veste di alter ego del titolare, per la quale la tutela non va apprestata.
Risultano, in definitiva, soggette all’applicazione delle nuove norme tutte le attività nei diversi settori dell’industria, dei servizi, dell’agricoltura, del commercio, dell’ amministrazione, dell’edilizia, ecc., qualora non sussista una delle cause di esclusione testé richiamate.
Concludendo, il filo logico seguito dal legislatore — come si è potuto constatare — è quello di considerare sia la prevenzione sia la protezione come solidali per il perseguimento dell’obiettivo della tutela e della sicurezza sui luoghi di lavoro.
E per finire, un consiglio:
Non fatevi influenzare troppo dalla legislazione “caotica e interpretativa” ma al buon senso del cosidetto “buon padre di famiglia” che per il c.c. è di primaria importanza.