Capisco Ursa ma mi trovo daccordo con Marzio.
Ciao
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A lui va la nostra gratitudine ed il nostro affettuoso ricordo.
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Il DVR incendio è sempre obbligatorio?
Pandora non si è limitata ad aprire il vaso, ma lo ha rotto, per cui anche la speranza si è persa.
Non vi capisco. Conosco perfettamente la norma, scrivo relazioni tecniche per i CPI e io non ho mai (nè ho mai visto) scritto al termine della valutazione prevista, il risultato della valutazione stessa, cioè la classificazione del rischio incendio, ex DM 10/03/98, che si effettua su basi quali-quantitative, diversamente da quella prevista dal DM 4/5/98, anche se attigua allo stesso (come diceva Ugo).
Ronin dice, giustamente (butto lì questo avverbio così placa la sua ira), che la VRI non si riduce alla classificazione. E chi lo ha mai pensato? Sono il primo che ha detto che la relazione tecnica può e deve essere usata per la VRI, ma alla fine si deve uscire fuori con un risultato che su nessuna relazione tecnica io ho mai visto e che deve essere quello previsto dalla legge: attività a basso, medio, alto rischio .
Se io ho un edificio con 500 addetti ad attività di ufficio, non troverò mai scritta la classificazione del rischio nella relazione tecnica. Anzi, in barba alla relazione tecnica del CPI, potrei andare tranquillamente a classificare a rischio basso il piano terra e a rischio elevato l'undicesimo piano, se fosse necessario.
Non so voi come lavorate, ma poi sarà sulla base di questa mia ultima classificazione che prenderò tutte le REALI misure procedurali che l'azienda dovrà mettere in pratica in caso di incendio e che durante la fase di certificazione (suvvia, siate onesti) sono semplicemente buttate lì perchè ci devono stare nella relazione tecnica e alla fine, ciò che conta in questa prima fase, è l'ottenimento del CPI.
Ronin, sei tu che scherzi quando riduci la VRI agli obblighi imposti dal legislatore nelle regole tecniche verticali ove esistenti, norme spesso scritte in tempi remoti e che non sempre tengono conto del know-how attuale. Assolutamente necessarie e sufficienti per l'ottenimento del CPI, ma limitarsi a queste ci riporta a 50 anni fa quando la concezione e l'approccio alla sicurezza era di carattere puramente tecnologico.
Insisto, la VRI prevista dal DM 4/5/98 è una valutazione embrionale, proprio perchè si fa quando il reale utilizzo dell'attività è solo uno spermatozoo nella mente del progettista (sappiamo tutti come funzionano le cose e mi meraviglio di Ronin che in altro thread ha vantato un approccio realistico alla sicurezza). Non è una valutazione che richiede in alcun modo la classificazione del rischio, come invece previsto dal DM 10/03/98 (peraltro precedente, per cui nel DM 4/5/98 poteva essere tranquillamente richiamata questa necessità) che evidentemente ha una finalità di completamento.
Non vi capisco. Conosco perfettamente la norma, scrivo relazioni tecniche per i CPI e io non ho mai (nè ho mai visto) scritto al termine della valutazione prevista, il risultato della valutazione stessa, cioè la classificazione del rischio incendio, ex DM 10/03/98, che si effettua su basi quali-quantitative, diversamente da quella prevista dal DM 4/5/98, anche se attigua allo stesso (come diceva Ugo).
Ronin dice, giustamente (butto lì questo avverbio così placa la sua ira), che la VRI non si riduce alla classificazione. E chi lo ha mai pensato? Sono il primo che ha detto che la relazione tecnica può e deve essere usata per la VRI, ma alla fine si deve uscire fuori con un risultato che su nessuna relazione tecnica io ho mai visto e che deve essere quello previsto dalla legge: attività a basso, medio, alto rischio .
Se io ho un edificio con 500 addetti ad attività di ufficio, non troverò mai scritta la classificazione del rischio nella relazione tecnica. Anzi, in barba alla relazione tecnica del CPI, potrei andare tranquillamente a classificare a rischio basso il piano terra e a rischio elevato l'undicesimo piano, se fosse necessario.
Non so voi come lavorate, ma poi sarà sulla base di questa mia ultima classificazione che prenderò tutte le REALI misure procedurali che l'azienda dovrà mettere in pratica in caso di incendio e che durante la fase di certificazione (suvvia, siate onesti) sono semplicemente buttate lì perchè ci devono stare nella relazione tecnica e alla fine, ciò che conta in questa prima fase, è l'ottenimento del CPI.
Ronin, sei tu che scherzi quando riduci la VRI agli obblighi imposti dal legislatore nelle regole tecniche verticali ove esistenti, norme spesso scritte in tempi remoti e che non sempre tengono conto del know-how attuale. Assolutamente necessarie e sufficienti per l'ottenimento del CPI, ma limitarsi a queste ci riporta a 50 anni fa quando la concezione e l'approccio alla sicurezza era di carattere puramente tecnologico.
Insisto, la VRI prevista dal DM 4/5/98 è una valutazione embrionale, proprio perchè si fa quando il reale utilizzo dell'attività è solo uno spermatozoo nella mente del progettista (sappiamo tutti come funzionano le cose e mi meraviglio di Ronin che in altro thread ha vantato un approccio realistico alla sicurezza). Non è una valutazione che richiede in alcun modo la classificazione del rischio, come invece previsto dal DM 10/03/98 (peraltro precedente, per cui nel DM 4/5/98 poteva essere tranquillamente richiamata questa necessità) che evidentemente ha una finalità di completamento.
Lo Stato è come la religione: vale se la gente ci crede (Errico Malatesta)
un ufficio con + di 25 addetti è soggetto alla nuova RT recentemente emanata, quindi non è un buon esempio (la VR la ha già fatta il legislatore).
dunque è normale che in sede di cpi non si valuti il rischio incendio: esso è stato già valutato dal legislatore.
nota che le prescrizioni che il dm 10/03/98 impone (lunghezza dei percorsi, vie d'uscita, numero di estintori, corsi per i lavoratori, e via enumerando), dipendono esplicitamente dalla classificazione a rischio basso/medio/elevato, quindi essa DEVE essere fatta dal progettista (in sede di esame progetto, prima ancora che di cpi), se costui vuole ragionevolmente stabilire le misure di sicurezza da applicare.
Come fai a stabilire anche solo il numero di estintori, se non classifichi l'attività a rischio basso/medio/elevato?
Allora il problema magari è un altro, ossia quello del professionista antincendio che effettua la valutazione del rischio con il famoso spannometro (CPI? rischio medio, e via andare). Se è questo che intendi, sono d'accordo anch'io.
Ma non mi sembrava questo l'oggetto del contendere.
come ho già dimostrato, l'obbligo della valutazione è esplicitamente previsto dal dm 4/5/98; compito del progettista antincendio è anche prevedere un piano di emergenza, che deve essere provato per dimostrare che sia realmente applicabile, per cui esso deve eccome conoscere come van le cose e quali sono le misure REALI (maiuscolo come giustamente maiuscoleggi) da applicare al rischio incendio, altrimenti non può fare il suo lavoro.
Non colgo il discorso dell'embrionale o non embrionale: potresti citare il passo di legge che definisce e autorizza l'embrionalità della valutazione?
quindi, se non l'hai mai visto fare, beh, che devo dire, la profondità della valutazione attiene alla coscienza del progettista, e il codice deontologico non mi permette di parlar male dei colleghi.
Se il RSPP (o come si chiama, che cavolo ne so io...) coscienzioso ritiene che la valutazione effettuata dal progettista antincendio sia insufficiente, può ben prescrivere prescrizioni aggiuntive, e ciò va a suo merito, ma non è obbligatorio (e in ogni caso: 1-non può condurre ad un annaccquamento delle prescrizioni di legge e 2-se conduce a un rafforzamento delle prescrizioni, tanto di guadagnato, ma per la legge non era obbligatorio).
Infine, non capisco il discorso del know-how tecnologico industriale in tumultuoso sviluppo che supera le arrancanti norme di età bimillenaria; le regole tecniche verticali coprono praticamente soltanto le attività civili; quelle pochissime regole tecniche verticali che anche solo marginalmente riguardano attività industriali sono di emanazione (o correzione/integrazione) recentissima.
dunque è normale che in sede di cpi non si valuti il rischio incendio: esso è stato già valutato dal legislatore.
nota che le prescrizioni che il dm 10/03/98 impone (lunghezza dei percorsi, vie d'uscita, numero di estintori, corsi per i lavoratori, e via enumerando), dipendono esplicitamente dalla classificazione a rischio basso/medio/elevato, quindi essa DEVE essere fatta dal progettista (in sede di esame progetto, prima ancora che di cpi), se costui vuole ragionevolmente stabilire le misure di sicurezza da applicare.
Come fai a stabilire anche solo il numero di estintori, se non classifichi l'attività a rischio basso/medio/elevato?
Allora il problema magari è un altro, ossia quello del professionista antincendio che effettua la valutazione del rischio con il famoso spannometro (CPI? rischio medio, e via andare). Se è questo che intendi, sono d'accordo anch'io.
Ma non mi sembrava questo l'oggetto del contendere.
come ho già dimostrato, l'obbligo della valutazione è esplicitamente previsto dal dm 4/5/98; compito del progettista antincendio è anche prevedere un piano di emergenza, che deve essere provato per dimostrare che sia realmente applicabile, per cui esso deve eccome conoscere come van le cose e quali sono le misure REALI (maiuscolo come giustamente maiuscoleggi) da applicare al rischio incendio, altrimenti non può fare il suo lavoro.
Non colgo il discorso dell'embrionale o non embrionale: potresti citare il passo di legge che definisce e autorizza l'embrionalità della valutazione?
quindi, se non l'hai mai visto fare, beh, che devo dire, la profondità della valutazione attiene alla coscienza del progettista, e il codice deontologico non mi permette di parlar male dei colleghi.
Se il RSPP (o come si chiama, che cavolo ne so io...) coscienzioso ritiene che la valutazione effettuata dal progettista antincendio sia insufficiente, può ben prescrivere prescrizioni aggiuntive, e ciò va a suo merito, ma non è obbligatorio (e in ogni caso: 1-non può condurre ad un annaccquamento delle prescrizioni di legge e 2-se conduce a un rafforzamento delle prescrizioni, tanto di guadagnato, ma per la legge non era obbligatorio).
Infine, non capisco il discorso del know-how tecnologico industriale in tumultuoso sviluppo che supera le arrancanti norme di età bimillenaria; le regole tecniche verticali coprono praticamente soltanto le attività civili; quelle pochissime regole tecniche verticali che anche solo marginalmente riguardano attività industriali sono di emanazione (o correzione/integrazione) recentissima.
Continui a non capire, anzi io mi spiego malissimo. Non contesto quanto affermi che il legislatore nelle regole tecniche abbia eseguito una VRI o che, in assenza della regola tecnica, il progettista debba fare una VRI. Questa VRI ha però finalità diverse, tanto è vero che il DM 10/03/98 nella parte relativa alla classificazione del rischio di incendio, si applica ad attività soggette e non soggette, purchè siano luoghi di lavoro.un ufficio con + di 25 addetti è soggetto alla nuova RT recentemente emanata, quindi non è un buon esempio (la VR la ha già fatta il legislatore).
Il campo di applicazione del DM 10/03/98, se avessi ragione tu, poteva essere semplicissimo: il presente decreto si applica solo ai luoghi di lavoro non rientranti nell'allegato al DM 16/2/82, perchè tanto la VRI (che se ci fai caso resta tra i pochi obblighi del DM 10/03/98 ai quali sono sono soggette anche le attività oggetto di CPI) ve l'ha già fatta il legislatore o il vostro progettista. Invece questa esclusione non è stata prevista. Chiediti perchè.
e come lo ha valutato? basso, medio, alto?dunque è normale che in sede di cpi non si valuti il rischio incendio: esso è stato già valutato dal legislatore.
Questo è un errore marchiano. Art. 3, comma 2, DM 10/03/98:nota che le prescrizioni che il dm 10/03/98 impone (lunghezza dei percorsi, vie d'uscita, numero di estintori, corsi per i lavoratori, e via enumerando), dipendono esplicitamente dalla classificazione a rischio basso/medio/elevato, quindi essa DEVE essere fatta dal progettista (in sede di esame progetto, prima ancora che di cpi), se costui vuole ragionevolmente stabilire le misure di sicurezza da applicare.
"Per le attività soggette al controllo da parte dei Comandi provinciali dei vigili del fuoco ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 29 luglio 1982, n. 577, le disposizioni del presente articolo si applicano limitatamente al comma 1, lettere a), e) ed f)"
e difatti la lettera b) esclusa recita:
"realizzare le vie e le uscite di emergenza previste dall'art. 13 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, di seguito denominato decreto del Presidente della Repubblica n. 547/1955, così come modificato dall'art. 33 del decreto legislativo n. 626/1994, per garantire l'esodo delle persone in sicurezza in caso di incendio, in conformità ai requisiti di cui all'allegato III"
Ergo, il DM 10/03/98 rimanda alle regole tecniche, ovvero alla relazione tecnica del progettista in loro assenza (la quale è soggetta solo al parere dei VVF i quali possono approvarla anche se non rispetta il DM 10/03/98) il dimensionamento delle vie di fuga, ecc. Il tutto al di fuori di una preventiva classificazione del rischio di incendio.
Come sopra.Come fai a stabilire anche solo il numero di estintori, se non classifichi l'attività a rischio basso/medio/elevato?
.come ho già dimostrato, l'obbligo della valutazione è esplicitamente previsto dal dm 4/5/98; compito del progettista antincendio è anche prevedere un piano di emergenza, che deve essere provato per dimostrare che sia realmente applicabile
Stupore! Il piano di emergenza di cui parli, in realtà, nel DM 4/5/98 consiste in:
"elementi strategici della pianificazione dell'emergenza che dimostrino la perseguibilità dell'obiettivo della mitigazione del rischio residuo attraverso una efficiente organizzazione e gestione aziendale"
Oltre ad essere definiti "elementi strategici" e non "puntuali" (ma si potrebbe disquisire), come fai a provare il piano di emergenza di un'attività che ancora non esiste perchè sei in fase di progettazione e di presentazione della relazione tecnica?
Se devi costruire un'attività soggetta a CPI, presenti (come detto sopra e come ben sai) una relazione tecnica ai VVF con la tua "dichiarazione di intenti", cioè cosa intendi fare per garantire la sicurezza antincendio e lo fai sulla base del DM 4/5/98. Oltre alle modifiche in corso d'opera per le quali chiedere le varianti ai VVF (varianti che già di per sè dimostrano che non sempre all'inizio si hanno le idee chiare su ciò che vuole realizzare e come farlo), mi vuoi dire che fare una valutazione del rischio di incendio a priori, prima dell'esistenza stessa dell'attività non sia una fase embrionale? O a te capitano solo attività esistenti per le quali è richiesto l'adeguamento alle norme antincendio (ed anche in quel caso potrebbero essere previsti interventi sostanziali che, pur non facendo precipitare nella fase embrionale, sicuramente potrebbero condurre a quella fetale).Non colgo il discorso dell'embrionale o non embrionale: potresti citare il passo di legge che definisce e autorizza l'embrionalità della valutazione?
Per onestà dovresti dire di non aver mai letto nemmeno tu su una relazione tecnica: "i seguenti ambienti sono da classificarsi a rischio di incendio medio". Ma sono pronto a ricredermi se dalle tue parti si usa (a proposito di dove sei? sono sinceramente curioso, se non ledo la tua privacy)quindi, se non l'hai mai visto fare, beh, che devo dire, la profondità della valutazione attiene alla coscienza del progettista, e il codice deontologico non mi permette di parlar male dei colleghi.
Volendo essere puntuali, se fosse come dici tu, se la VRI fosse già completamente riassunta nella relazione tecnica, se le misure previste dal legislatore fossero "necessarie e sufficienti", mi spieghi perchè, nonostante l'ottenimento del CPI, un datore di lavoro deve applicare il comma 1, lett.a, dell'art.3 del DM 10/03/98?
Ricordiamolo:
" All'esito della valutazione dei rischi di incendio, il datore di lavoro adotta le misure finalizzate a:
a) ridurre la probabilità di insorgenza di un incendio secondo i criteri di cui all'allegato II"
Ma come, le misure non erano già tutte state previste dal legislatore o dal progettista?
Non è che per caso quelle misure sono "necessarie e sufficienti" per l'ottenimento del CPI, ma poi devono essere completate dalle REALI (concordo sulla necessità di maiuscoleggiare) condizioni dell'attività?
I nostri punti di vista, come già in passato, non sono molto divergenti (anche perchè le finalità ultime ci accomunano), ma come già in passato mi trovo ad insistere (senza necessariamente beccarmi il titolo di tetrapiloctomico): quest'ultimo passaggio (l'art. 3, comma, 1, lett. a) DM 10/03/98) dimostra che talvolta l'applicazione delle norme, in buona fede, viene scavalcata dalla spanno-occhimetria, per cui è sufficiente che un'attività rientri tra quelle elencate nel DM 16/2/82 e automaticamente è da classificarsi a rischio medio.
E se l'attività in questione, pur rientrando nel suddetto DM, non avesse mai ottenuto il CPI e magari si lavorasse lì dentro a sprezzo del pericolo con saldatrici ad arco e cabine di verniciatura, che si fa? Io personalmente un rischio elevato non lo nego a nessuno
Lo Stato è come la religione: vale se la gente ci crede (Errico Malatesta)
Adesso la sparo grossa:
- il DM 10/03/98 è da pensare come il frutto dell'attuazione di una direttiva sociale particolare della direttiva "madre" 89/391/CEE che ha generato la 626... insomma immaginate la valutazione del rischio chimico
- le pratiche di prevenzione incendi sono soggette alla legislazione nazionale che parte dagli anni 50, poi c'è la nuova prevenzione incendi (con l'818 del '84) e poi la nuovissima prevenzione incendi con il 37/98 (comunque un progetto di prevenzione incendi è da paragonare, se l'attività non c'è, all'autorizzazione ex art. 48 del DPR 303/56, per capirci)
IMHO:
- chi cerca di farle "combaciare" fa un buon lavoro (quando si può, perché no...)
- chi non la pensa così (e non le fa combaciare) non sbaglia
che ne dite?
- il DM 10/03/98 è da pensare come il frutto dell'attuazione di una direttiva sociale particolare della direttiva "madre" 89/391/CEE che ha generato la 626... insomma immaginate la valutazione del rischio chimico
- le pratiche di prevenzione incendi sono soggette alla legislazione nazionale che parte dagli anni 50, poi c'è la nuova prevenzione incendi (con l'818 del '84) e poi la nuovissima prevenzione incendi con il 37/98 (comunque un progetto di prevenzione incendi è da paragonare, se l'attività non c'è, all'autorizzazione ex art. 48 del DPR 303/56, per capirci)
IMHO:
- chi cerca di farle "combaciare" fa un buon lavoro (quando si può, perché no...)
- chi non la pensa così (e non le fa combaciare) non sbaglia
che ne dite?
la cultura del dono e il gioco della reputazione costituiscono il modo ottimale a livello globale per cooperare verso la produzione (e la verifica!) di lavoro creativo di alta qualità - E. S. Raymond
E io che pensavo che le 20 ore di descrizione del DM 10/03/98 sviluppate nel corso 818 che ho seguito (nel lontano 1999/00), servissero per definire come valutare il rischio incendio in attività non normate...
Oh, che incauto... :smt003
Marzio
Oh, che incauto... :smt003
Marzio
"Ogni soluzione genera nuovi problemi" (Corollario 7, Legge di Murphy)
Non capisco se sei ironico.Marzio ha scritto:E io che pensavo che le 20 ore di descrizione del DM 10/03/98 sviluppate nel corso 818 che ho seguito (nel lontano 1999/00), servissero per definire come valutare il rischio incendio in attività non normate...
Oh, che incauto... :smt003
Innanzitutto il DM 10/03/98 si applica solo nei luoghi di lavoro in cui vige il DLgs 626/94, per cui la sua funzione (che chiaramente è anche quella che dici tu, cioè la valutazione del rischio di incendio in attività non normate) è comunque relativa solo ad essi. Non puoi usare il DM 10/03/98 per fare la valutazione di un magazzino di più di 1000 mq di proprietà di un privato. Dunque, semmai, in quelle 20 ore ti avranno detto come fare una VRI in attività non normate ma che siano anche luoghi di lavoro con presenza di lavoratori subordinati o ad essi equiparabili.
Inoltre, come ho già scritto e penso di aver detto in modo abbastanza chiaro, l'art. 3, comma 1, lett. a) del DM 10/03/98 si applica sia ad attività soggette a CPI che non e, nel caso delle prime, sia che esse siano normate o che non lo siano.
Come puoi constatare, tale art. inizia con la frase: "all'esito della valutazione dei rischi di incendio....", cioè la sua applicazione è posteriore alla valutazione, sia che essa sia stata fatta seguendo una regola tecnica verticale, sia che invece si siano seguite le indicazioni del DM 10/03/98.
Tuttavia, anche nel caso in cui l'attività fosse normata, il medesimo articolo ti chiede di "ridurre la probabilità di insorgenza di un incendio secondo i criteri di cui all'.II".
Credo che di interpretazioni da fare in questo caso ce ne siano poche. Anche se l'attività è normata, per cui nella regola tecnica sono già presenti le misure preventive, protettive e precauzionali di esercizio, tali misure (lo dice il DM) devono essere integrate (se necessario, ovvio).
Se è richiesto che si verifiche la necessità che le misure vengano integrate, evidentemente la VRI fatta secondo la regola tecnica non è bastante.
Es.:
in quale regola tecnica troverai scritto che nella valutazione del rischio di incendio e nelle conseguenti misure da adottare devi tener conto, specificatamente (dunque dichiarandolo nella relazione tecnica), delle negligenze di appaltatori o degli addetti alla manutenzione o addirittura dell'inadeguata fomazione professionale del personale sull'uso di materiali od attrezzature pericolose ai fini antincendio (magari me la trovi pure la regola tecnica, ma il mio è solo un fugace esempio).
Non comprendo i motivi di questa insurrezione.
Molte regole tecniche sono scritte in modo indipendente dall'eventualità che l'attività sia o meno un luogo di lavoro. Tu e Ronin mi volete dire che questo non fa la differenza?
A me sembra chiaro che qualora l'attività risulti essere un luogo di lavoro, le previsioni riportate nella relazione tecnica dovranno confrontarsi con lo spirito del DLgs 626/94 che, in qualche modo, come diceva Ugo, è lo stesso che anima il DM 10/03/98 (emanato proprio in virtù dell'esistenza del DLgs 626/94) e NON SERVE NECESSARIAMENTE ALL'OTTENIMENTO DEL CPI, ma riguarda, ad ogni modo, l'esercizio a regime dell'attività (non si limita ad indicazioni redatte nella fase embrionale di un'attività).
Le regole tecniche, che per carità io applico, apprezzo e reputo tra le migliori norme che ci siano in Italia, hanno un approccio squisitamente tecnico (da cui, per l'appunto, il termine "regole tecniche"). Fanno molto comodo a noi ingegneri perchè si confrontano in modo diretto con il nostro tipico approccio, ma non venite a dirmi che ricalchino la ratio del DLgs 626/94.
Ad ogni modo, cercando di dare una risposta a Mirko (è spesso opportuno che ci si ricordi di dare uno sguardo in alto nei thread più lunghi, così magari si evita di rinchiudersi in discussioni che rischiano di andare OT):
La VRI la devi fare in ogni caso. Se poi l'attività ha il CPI e, di conseguenza la relazione tecnica, il 90% della tua valutazione sarà contenuta lì dentro (se è ben fatta), ma alla fine:
1) devi fare una classificazione del rischio che è ben altra cosa che limitarsi a dire "se l'attività ha il CPI, allora è a medio rischio", classificazione che non troverai mai in una relazione tecnica;
2) devi confrontarti con le reali condizioni di impiego di quell'attività che non troverai mai riportate nella relazione tecnica che potrebbe essere stata scritta in tempi remoti da chi, dopo la realizzazione dell'opera non ha mai più messo piede lì dentro.
Poi, ognuno lavori come gli pare, per me potete anche fare tabula rasa del DM 10/03/98 e classificare le attività a rischio medio se soggette a controllo dei VVF.
Basta che non si venga a dire che il DM 10/03/98 dice chiaramente che chi cura la relazione tecnica deve fare la VRI o che se c'è una regola tecnica verticale tutto finisce lì.
Ma chi verrà mai a contestare questo o quell'altro approccio? Il problema semmai è di mentalità per cui ci si limita a guardare 4 come fosse il risultato di 2+2 e non, ad esempio il log di 10000.
Chiaro che fa più comodo...
Lo Stato è come la religione: vale se la gente ci crede (Errico Malatesta)
così è infatti :smt045.Marzio ha scritto:E io che pensavo che le 20 ore di descrizione del DM 10/03/98 sviluppate nel corso 818 che ho seguito (nel lontano 1999/00), servissero per definire come valutare il rischio incendio in attività non normate...
non sono d'accordo con ursamaior, nella relazione antincendio le valutazioni di cui parla si fanno, per esempio se ho un'attività dove il magazzino (zona a rischio basso) non è compartimentato dalla zona di saldatura (rischio elevato), anche il magazzino è a rischio elevato; viceversa, se lo compartimento, lo classifico a rischio più basso (ho scelto volutamente un esempio alquanto elementare).
rileggiamo ancora il dm 10 03 98:
2. Il presente decreto si applica alle attività che si svolgono nei luoghi di lavoro come definiti dall'art. 30, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, come modificato dal decreto legislativo 19 marzo 1996, n. 242, di seguito denominato decreto legislativo n. 626/1994.
ora andiamo a vederci il dm 04 05 98, allegato I:
B - DOCUMENTAZIONE RELATIVA AD ATTIVITÁ REGOLATE DA SPECIFICHE DISPOSIZIONI ANTINCENDI
La relazione tecnica può limitarsi a dimostrare l'osservanza delle specifiche disposizioni tecniche di prevenzione incendi.
ho già evidenziato in precedenza che i risultati della valutazione del rischio incendio (ai sensi del dm) DEVONO obbligatoriamente far parte del DVR ai sensi del 626 (è il dm stesso che lo prevede).
Siamo nella seguente situazione:
-abbiamo dimostrato che, in mancanza di regola tecnica verticale, ma in presenza di CPI, è obbligo del progettista antincendio effettuare la VRI ai sensi del dm 10/03/98, e che tale VRI deve obbligatoriamente essere parte del DVR 626 (che quindi non la può contraddire, semmai rafforzare...)
-abbiamo dimostrato che, in presenza di CPI+RT verticale, il progettista antincendio non deve effettuare alcuna VRI, perchè tale valutazione è già stata fatta dal legislatore.
-resta da chiarire se comunque, nel DVR 626, si debba effettuare la VRI a cura del DdL, anche in presenza di RT verticale (cioè può ben essere che questo sia comunque un obbligo del datore di lavoro, e non del progettista; qui ursamaior puoi anche avere ragione, non sono un esperto del ramo e non ho tempo di effettuare ricerche più approfondite); in ogni caso tale VRI non può contraddire la RT, e le prescrizioni della RT sono sufficienti per operare (questo è innegabile)
Devo rispondere all'accusa di "errore marchiano": se leggi il dm, scopri che
"la valutazione del rischio incendio può essere effettuata in conformità ai criteri dell'allegato I.
Quindi seguire il dm 10/03/98 per effettuare la VRI NON è obbligatorio: il dm stesso prevede la possibilità di usare strade differenti (ricordo un caso in cui applicarono (io ero ancora un caddista...) la assai meno qualitativa regola tecnica spagnola; c'è stato anche un articolo di antincendio al riguardo).
Alla fine però il risultato deve essere lo stesso, rischio basso, medio ed elevato.
Il dm parla esplicitamente di valutare il "luogo di lavoro e, se il caso, di singole parti del luogo medesimo"; ciò è lasciato ovviamente alla sensibilità del progettista (che se vuole classifica tutto rischio medio; è un problema che riguarda la sfera etica dell'individuo).
Qui mi sa che qualcuno non ha ben chiara la differenza tra esame progetto e richiesta di cpi; quando chiedo il CPI, l'attività è GIA' stata realizzata.
E' evidente che il piano d'emergenza andrà poi affinato, e rivisto a cadenze regolari e qualora emergano novità/modifiche.
Ma onestamente qui mi sembra che qualcuno parli di un caso in cui un datore di lavoro vuole impiantare un'attività SENZA aver ben chiaro il ciclo produttivo della stessa (tipo voglio mettermi a produrre bulloni, intanto apro una bulloneria; poi se mi servono frese e torni, si vedrà): è un caso puramente teorico, che nella pratica non credo si verifichi mai.
ultima questione, art 3 comma 2:
il DdL, si dice, all'esito della VRI, nelle attività soggette ai controlli adotta solo a) e) f).
che significa tutto ciò? significa forse che nelle attività soggette b)c)d) non devono essere attuate? NO.
Significa questo:
nelle attività soggette a CPI, è il progettista antincendio che impone b)c)d) (cose che deve obbligatoriamente valutare, per effetto dell'obbligo previsto dall'allegato A del dm 04 05 98, come abbiamo dimostrato), sulla base della sua valutazione del rischio; al DdL, resta solo da fare a)e)f) (cioè informare i lavoratori, adottare le procedure di sicurezza, garantire la manutenzione degli impianti).
nelle attività non soggette a CPI, invece, il progettista antincendio non c'è, e pertanto gli adempimenti b)c)d) competono al DdL.
Spero che Pandora si possa ritenere soddisfatta stavolta...
Sai che novità :smt002non sono d'accordo con ursamaior
Insisto: mostrami una relazione tecnica in cui ci sia scritto rischio basso, medio od elevato ed io ti mostrerò un cammello a tre gobbe (me la potresti anche trovare una relazione del genere, ma sarebbe un'aberrazione cromosomica in quanto la classificazione non è richiesta dal DM 4/5/98 per l'ottenimento del CPI).nella relazione antincendio le valutazioni di cui parla si fanno, per esempio se ho un'attività dove il magazzino (zona a rischio basso) non è compartimentato dalla zona di saldatura (rischio elevato), anche il magazzino è a rischio elevato; viceversa, se lo compartimento, lo classifico a rischio più basso (ho scelto volutamente un esempio alquanto elementare).
Perdonami, ma io questa dimostrazione non la vedo scritta da nessuna parte. Tu per ottenere il CPI devi fare la VRI secondo quanto previsto dal DM 4/5/98 (la norma di riferimento).-abbiamo dimostrato che, in mancanza di regola tecnica verticale, ma in presenza di CPI, è obbligo del progettista antincendio effettuare la VRI ai sensi del dm 10/03/98, e che tale VRI deve obbligatoriamente essere parte del DVR 626 (che quindi non la può contraddire, semmai rafforzare...)
Se vuoi puoi anche usare il DM 10/93/98, ma anche no. Il può da te grassettato, indica proprio che ti potresti limitare all'applicazione del DM 4/5/98: può limitarsi (le indicazioni di tale DM sono di per sè bastanti, ma è facoltà del progettista o del comando richiederne l'integrazione).
Esempio di facile comprensione: chiedo il CPI per un magazzino > 1000mq. Sono, un privato collezionista di pigiami in fibra di ceramica refrattaria. La VRI la devo fare solo con il DM 4/5/98 perchè il DM 10/03/98 non è applicabile (non si tratta di un luogo di lavoro). Ottenuto il CPI, assumo un lavoratore che saltuariamente mi spolveri i pigiamini cancerogeni. Oooops, è diventato un luogo di lavoro e non ho una valutazione eseguita con il DM 10/03/98.
Questo punto è cruciale nella nostra incomprensione. Anche in assenza di regola tecnica, la VRI del progettista deve in qualche modo confrontarsi con il DM 10/03/98. Se lo ha fatto lui, bene. Ma non essendovi obbligato, spesso non si fa. E' il DdL, non sempre titolare dell'attività, che ha l'obbligo della valutazione DM 10/03/98 (come vedi anche questo punto dimostra come si possano ottenere CPI da una parte ed attività lavorative dall'altra, dunque VRI eseguite con criteri diversi).
Qui mi sei piaciuto. Però se avessi scritto, per amor di chiarezza, che quella valutazione è finalizzata solo all'ottenimento del CPI (altro nodo cruciale), sarebbe stato meglio.-abbiamo dimostrato che, in presenza di CPI+RT verticale, il progettista antincendio non deve effettuare alcuna VRI, perchè tale valutazione è già stata fatta dal legislatore.
Grazie per aver fatto infiltrare il germe del dubbio tra le fitte maglie dei tuoi ragionamenti. Come però ti ho scritto nel precedente post, le prescrizioni della RT possono essere sufficienti per gestire un'attività soggetta a CPI ed insufficienti se questa attività è anche (o diviene) un luogo di lavoro. In quel caso ti è obbligatoriamente richiesta la valutazione delle misure aggiuntive sulla base dell'All.II del DM 10/03/98.-resta da chiarire se comunque, nel DVR 626, si debba effettuare la VRI a cura del DdL, anche in presenza di RT verticale (cioè può ben essere che questo sia comunque un obbligo del datore di lavoro, e non del progettista; qui ursamaior puoi anche avere ragione, non sono un esperto del ramo e non ho tempo di effettuare ricerche più approfondite); in ogni caso tale VRI non può contraddire la RT, e le prescrizioni della RT sono sufficienti per operare (questo è innegabile)
Mi fai arrabbiare se dici così e sinceramente ti chiedo di essere collaborativo perchè trovo che tu sia molto preparato su questo argomento da non poterti permettere di dire una cosa del genere.Devo rispondere all'accusa di "errore marchiano": se leggi il dm, scopri che
"la valutazione del rischio incendio può essere effettuata in conformità ai criteri dell'allegato I.
Quindi seguire il dm 10/03/98 per effettuare la VRI NON è obbligatorio: il dm stesso prevede la possibilità di usare strade differenti
Confermo l'errore marchiano con la sopraggiunta aggravante di manifesta ignavia nel leggere adeguatamente le norme.
Cavolo Ronin, il DM 10/03/98 è composto da due macrosettori:
1) gli articoli
2) gli allegati.
Gli articoli sono sempre applicabili e sempre obbligatori, purchè si tratti di luogo di lavoro con lavoratori subordinati, dunque (e lo scrivo in grassetto così nessuno che dovesse mai leggere questo thread rischi di cadere in confusione) la valutazione dei rischi di incendio deve essere sempre fatta secondo il DM 10/3/98, semmai puoi evitare di applicare il suo allegato I (che ti dà delle linee guida), ma alla fine devi tirare fuori una classificazione del rischio in quanto essa ti è richiesta dall'art.2, comma 4 del DM 10/03/98.
Inoltre, è appunto dal solo allegato I che la norma ti consente di affrancarti. L'allegato II è sempre obbligatorio anche se l'attività è soggetta a controllo da parte dei VVF
Già, ma non capisco chi sia questo sporco infiltratoQui mi sa che qualcuno non ha ben chiara la differenza tra esame progetto e richiesta di cpi
.quando chiedo il CPI, l'attività è GIA' stata realizzata
Bella Ronin. Una domanda, ma tu la relazione tecnica (con annesso piano di emergenza previsto dal DM 4/5/98) la presenti dopo che l'opera è già stata realizzata, così oltre al rischio che ti boccino il progetto, ti potrebbero richiedere modifiche onerose o inattuabili?
A questo punto divento sinceramente curioso di capire dove lavori.
In ogni caso questa parte della discussione è OT ed assolutamente polemica, per cui direi di chiuderla qui prima di essere censurati o peggio ancora prima che si tocchi la professionalità di qualcuno. Se non sbagli richiamavi un codice deontologico: ecco, discutiamo quanto vuoi sulle interpretazioni delle normative, magari anche prendendoci in giro (e ti ho già detto che ti trovo simpatico e preparato, per cui chiacchiero volentieri con te), ma non permetterti di entrare nel merito della pratica lavorativa vera e propria, nella fattispecie se io sappia come si porta avanti una pratica per il CPI.
Prego il mod di non cancellare questo intervento e chiedo scusa se per qualche ragione ho potuto suscitare io la precedente frase di Ronin. Non si ripeterà.
Ti ho già detto che il progettista valuta anticipatamente (ex DM 10/3/98) le vie ed uscite di emergenza, solo se l'attività è un luogo di lavoro, per cui non è detto che le misure previste in fase di esame progetto saranno le stesse nelle reali condizioni di utilizzo, quando magari si era progettato un magazzino > 1000mq senza dipendenti e a distanza di 10 anni ci si ritrova con lo stesso magazzino con un carrello elevatore elettrico e un lavoratore assunto.ultima questione, art 3 comma 2:
il DdL, si dice, all'esito della VRI, nelle attività soggette ai controlli adotta solo a) e) f).
che significa tutto ciò? significa forse che nelle attività soggette b)c)d) non devono essere attuate? NO.
Significa questo:
nelle attività soggette a CPI, è il progettista antincendio che impone b)c)d) (cose che deve obbligatoriamente valutare, per effetto dell'obbligo previsto dall'allegato A del dm 04 05 98, come abbiamo dimostrato), sulla base della sua valutazione del rischio; al DdL, resta solo da fare a)e)f) (cioè informare i lavoratori, adottare le procedure di sicurezza, garantire la manutenzione degli impianti).
nelle attività non soggette a CPI, invece, il progettista antincendio non c'è, e pertanto gli adempimenti b)c)d) competono al DdL.
Pandora il guaio l'ha fatto, ma la speranza forse davvero è rimasta in fondo al vaso....[/quote]Spero che Pandora si possa ritenere soddisfatta stavolta...
Chiedo per cortesia ai partecipanti a questo thread di essere al massimo collaborativi sia tra loro che con me.
E' estremamente pesante per il sottoscritto leggere tutti i posts soprattutto se lunghi e articolati come questi ragion per cui molte volte vengono scorsi velocemente per sommi capi.
Talvolta, quindi, rischio di perdere degli incisi che potrebbero alimentare discussioni leggermente 'sopra le righe'.
Rinnovo pertanto l'appello ad 'automoderarvi' per facilitarmi il compito di controllo dei posts.
Sicuro che, come sempre, riuscirete a far rientrare anche questa discusione nell'alveo della pacatezza che da anni vi contraddistingue colgo l'occasione per ringraziarvi infinitamente per l'appassionato e straordinario lavoro che fate quotidianamente per una corretta diffusione della cultura della sicurezza nel nostro Paese.
Un buon week-end a tutti.
Mod
Lo Stato è come la religione: vale se la gente ci crede (Errico Malatesta)
Però una cosa devo riconoscerla a Ursa (scherzo! :smt002 )
In effetti nessuna relazione tecnica per il CPI classifica l'azienda a richio B, M o E.
Però scusate se è solo questo quello che manca ad una relazione tecnica che già dicue e valuta tutto e di più di quanto previsto dal DM 10.03.98, non è sufficiente dare il giudizio all'interno del DVR dove parliamo del rischio incendio senza stare a ridire le stesse cose con il rischio di spararne di diverse???
In effetti nessuna relazione tecnica per il CPI classifica l'azienda a richio B, M o E.
Però scusate se è solo questo quello che manca ad una relazione tecnica che già dicue e valuta tutto e di più di quanto previsto dal DM 10.03.98, non è sufficiente dare il giudizio all'interno del DVR dove parliamo del rischio incendio senza stare a ridire le stesse cose con il rischio di spararne di diverse???