Quesito:
uno strumento per analisi chimiche in questo caso un gascromatografo, utilizza anche idrogeno per le analisi
All'interno c'è anche un forno di riscaldamento e un vano di circa 40 litri.
in caso di rottura della tubazione interna di idrogeno con conseguente perdita dello stesso vi è un potenziale rischio di esplosione.
Domanda : questo strumento marcato ce, dovrebbe essere anche rispondente alla direttiva atex?
Il forum di SICUREZZAONLINE è stato ideato, realizzato e amministrato per oltre 15 anni da Giuseppe Zago (Mod).
A lui va la nostra gratitudine ed il nostro affettuoso ricordo.
A lui va la nostra gratitudine ed il nostro affettuoso ricordo.
atex gascromatografo
In una discussione di qualche tempo fa, si è parlato della differenza tra atex interna ad un macchinario ed atex esterna (la quastione verteva su aspiratori per polveri combustibili).
Nella marcatura CE il costruttore deve aver valutato anche i rischi di esplosione per l'idrogeno utilizzato dal macchinario, quindi ciò rientra nella marcatura per la Direttiva Macchine.
Diverso il discorso di atmosfera esterna EX, che eventualmente dovrà essere valutata nel processo di classificazione; qualora vi fosse una zona classificata nell'intorno della macchina, allora questo dovrà essere marcata anche per la Direttiva ATEX per la zona specifica.
Nella marcatura CE il costruttore deve aver valutato anche i rischi di esplosione per l'idrogeno utilizzato dal macchinario, quindi ciò rientra nella marcatura per la Direttiva Macchine.
Diverso il discorso di atmosfera esterna EX, che eventualmente dovrà essere valutata nel processo di classificazione; qualora vi fosse una zona classificata nell'intorno della macchina, allora questo dovrà essere marcata anche per la Direttiva ATEX per la zona specifica.
1) non c'è alcuna "tubazione" all'interno del forno, dove si trova solo la colonna gascromatografica al cui interno di solito non si fa passare idrogeno (sono pochissime le metodiche che impiegano H2 come carrier, e pure desuete perchè l'idrogeno di purezza necessaria per fare il carrier costerebbe il triplo dell'elio che è già carissimo del suo ).
2) l'idrogeno serve nel detector (solo di tipo FID) dove viene miscelato con l'aria proprio per avere la Fiamma che Ionizza le molecole, ionizzazione che viene rilevata mediante apposito Detector; per avere un segnale decente, persino per quello serve un gas di purezza almeno 3.0
3) è ovvio che la marcatura riguarda tutto il sistema e tutto quanto interno al sistema, che è dotato di tutta una serie di "blocchi" di alimentazione dei gas, compreso l'idrogeno.
Ciò per dire che anche a circuito aperto ma senza accensione della fiamma l'idrogeno non può uscire all'esterno del sistema in quanto la valvola di "transito" -sia quella dell'idrogeno che quella dell'aria- viene tenuta aperta solo al raggiungimento delle temperatura prevista per il FID stesso; esempio: io devo rilevare per necessità analitiche la ionizzazione di quelle certe molecole a 280°C, fino a che il FID non raggiunge il 280°C mediante alimentazione elettrica (protetta) le valvoline non si aprono e quindi l'idrogeno e l'aria non vengono a contatto nella microcella del rilevatore, il cui volume è al massimo di qualche microlitro; io lavoro di solito a 0,05 microlitri, ma ci sono metodiche che possono richiedere anche 10 microlitri. Se la temperatura del FID si sposta di più del 2% da quella prefissata, la fiamma si spegne (quando lo supera arriva il flusso di azoto in cella) e in conseguenza si richiudono le valvole.
Questo, per il FID, dove si usa l'idrogeno. Gli altri rilevatori non usano idrogeno.
Se per caso si sta invece usando idrogeno come carrier, se tu sapessi come funziona un gascromatografo sapresti anche che se gli estremi della colonna non sono perfettamente in connessione con il punto di iniezione e con la cella del FID in colonna non ci va niente, nemmeno se si usa elio purissimo, perchè il sistema è fatto in modo da lavorare a determinate pressioni interne, e se non sono quelle previste matematicamente in base alla lunghezza della colonna, al suo diametro interno ed allo spessore della fase stazionaria (film) utilizzata - che devono essere preimpostate correttamente apposta- si blocca anche l'alimentazione della colonna.
Infine, si lavora con pressioni regolate con manometri di 1° e 2° stadio già alla bombola (che deve essere all'aperto per principio) dove se c'è una perdita dalla filettatura al manometro (e credimi quelli per idrogeno è proprio difficile) molto semplicemente non si riesce a girarne la manopola. Come non bastasse, giusto per stare tranquilli la pressione al terzo stadio, ossia quello posto all'interno del laboratorio di solito immediatamente prima dell'alimentazione del GC , non è mai superiore a 50 PSI (sigla di Pascal SI), e giusto per ricordarlo 1 bar è pari a 10^5 Pa, ossia 1 millibar = 1 hPa o ettopascal, cioè in pratica 50 pascal sono la metà di un millibar. Considerando che la pressione atmosferica quando è buonissimo tempo è intorno ai 1013 millibar quando è tempesta è intorno ai 980 millibar, continuo o pensi che questo ti sia sufficiente per mettere a fuoco che in un laboratorio il rischio atex per l'idrogeno dei gascromatografi è limitato alle filettature delle bombole che è all'esterno ed a quanto può teoricamente venir fuori per un guasto al terzo stadio? Terzo stadio dove però la pressione è meno di 1/2000 di quella atmosferica e quindi la vedo fisicamente assai improbabile che un gas a pressione così più bassa di quella atmosferica possa diffondere in atmosfera.
Si lavora a pressioni così basse anche perchè il flusso in colonna deve poter essere regolato a velocità anche di pochissimi ml al minuto, e se non sei a pressioni minime non puoi regolarlo. Essendo volumi fissi (la colonna quella è!), più abbassi la pressione iniziale più puoi regolarti con l'aumento di pressione dovuto all'aumento della temperatura, considerando che comunque devi avere sempre quel flusso anche quando sale la temperatura del forno, che in colonna passi elio o azoto o idrogeno (mai aria, non si usa mai l'aria come carrier)
Quindi, in ogni caso mai e poi mai si potrà creare un accumulo di idrogeno nel forno, perchè bastano appena 3 millibar in meno della pressione atmosferica locale per assicurare una depressione che non permetta a niente di uscire. Figuriamoci se anche facciamo un buco in un condottino di gas con pressione regolata a 50 PSI come possa questo uscire da lì verso ben 101325 PSI... esterni (N.B.: 1013 mBar espressi in PSI). Semmai, è più verosimile che sia l'aria ad entrare nel condottino, ma il rapporto stechiometrico dell'O2 con l'H2 del condottino non consente nemmeno il "PAM" della goccina d'acqua ottenibile quando si fanno gli esperimentini di idrolisi dell'acqua a scuola e poi si ricongiungono le provette di raccolta dei gas agli elettrodi: infatti, anche l'idrogeno ha un LEL e un UEL, rispettivamente 4 e 76%. Fatti i conti, con le debite proporzioni volumetriche, e vedrai che è come ti ho appena spiegato.
2) l'idrogeno serve nel detector (solo di tipo FID) dove viene miscelato con l'aria proprio per avere la Fiamma che Ionizza le molecole, ionizzazione che viene rilevata mediante apposito Detector; per avere un segnale decente, persino per quello serve un gas di purezza almeno 3.0
3) è ovvio che la marcatura riguarda tutto il sistema e tutto quanto interno al sistema, che è dotato di tutta una serie di "blocchi" di alimentazione dei gas, compreso l'idrogeno.
Ciò per dire che anche a circuito aperto ma senza accensione della fiamma l'idrogeno non può uscire all'esterno del sistema in quanto la valvola di "transito" -sia quella dell'idrogeno che quella dell'aria- viene tenuta aperta solo al raggiungimento delle temperatura prevista per il FID stesso; esempio: io devo rilevare per necessità analitiche la ionizzazione di quelle certe molecole a 280°C, fino a che il FID non raggiunge il 280°C mediante alimentazione elettrica (protetta) le valvoline non si aprono e quindi l'idrogeno e l'aria non vengono a contatto nella microcella del rilevatore, il cui volume è al massimo di qualche microlitro; io lavoro di solito a 0,05 microlitri, ma ci sono metodiche che possono richiedere anche 10 microlitri. Se la temperatura del FID si sposta di più del 2% da quella prefissata, la fiamma si spegne (quando lo supera arriva il flusso di azoto in cella) e in conseguenza si richiudono le valvole.
Questo, per il FID, dove si usa l'idrogeno. Gli altri rilevatori non usano idrogeno.
Se per caso si sta invece usando idrogeno come carrier, se tu sapessi come funziona un gascromatografo sapresti anche che se gli estremi della colonna non sono perfettamente in connessione con il punto di iniezione e con la cella del FID in colonna non ci va niente, nemmeno se si usa elio purissimo, perchè il sistema è fatto in modo da lavorare a determinate pressioni interne, e se non sono quelle previste matematicamente in base alla lunghezza della colonna, al suo diametro interno ed allo spessore della fase stazionaria (film) utilizzata - che devono essere preimpostate correttamente apposta- si blocca anche l'alimentazione della colonna.
Infine, si lavora con pressioni regolate con manometri di 1° e 2° stadio già alla bombola (che deve essere all'aperto per principio) dove se c'è una perdita dalla filettatura al manometro (e credimi quelli per idrogeno è proprio difficile) molto semplicemente non si riesce a girarne la manopola. Come non bastasse, giusto per stare tranquilli la pressione al terzo stadio, ossia quello posto all'interno del laboratorio di solito immediatamente prima dell'alimentazione del GC , non è mai superiore a 50 PSI (sigla di Pascal SI), e giusto per ricordarlo 1 bar è pari a 10^5 Pa, ossia 1 millibar = 1 hPa o ettopascal, cioè in pratica 50 pascal sono la metà di un millibar. Considerando che la pressione atmosferica quando è buonissimo tempo è intorno ai 1013 millibar quando è tempesta è intorno ai 980 millibar, continuo o pensi che questo ti sia sufficiente per mettere a fuoco che in un laboratorio il rischio atex per l'idrogeno dei gascromatografi è limitato alle filettature delle bombole che è all'esterno ed a quanto può teoricamente venir fuori per un guasto al terzo stadio? Terzo stadio dove però la pressione è meno di 1/2000 di quella atmosferica e quindi la vedo fisicamente assai improbabile che un gas a pressione così più bassa di quella atmosferica possa diffondere in atmosfera.
Si lavora a pressioni così basse anche perchè il flusso in colonna deve poter essere regolato a velocità anche di pochissimi ml al minuto, e se non sei a pressioni minime non puoi regolarlo. Essendo volumi fissi (la colonna quella è!), più abbassi la pressione iniziale più puoi regolarti con l'aumento di pressione dovuto all'aumento della temperatura, considerando che comunque devi avere sempre quel flusso anche quando sale la temperatura del forno, che in colonna passi elio o azoto o idrogeno (mai aria, non si usa mai l'aria come carrier)
Quindi, in ogni caso mai e poi mai si potrà creare un accumulo di idrogeno nel forno, perchè bastano appena 3 millibar in meno della pressione atmosferica locale per assicurare una depressione che non permetta a niente di uscire. Figuriamoci se anche facciamo un buco in un condottino di gas con pressione regolata a 50 PSI come possa questo uscire da lì verso ben 101325 PSI... esterni (N.B.: 1013 mBar espressi in PSI). Semmai, è più verosimile che sia l'aria ad entrare nel condottino, ma il rapporto stechiometrico dell'O2 con l'H2 del condottino non consente nemmeno il "PAM" della goccina d'acqua ottenibile quando si fanno gli esperimentini di idrolisi dell'acqua a scuola e poi si ricongiungono le provette di raccolta dei gas agli elettrodi: infatti, anche l'idrogeno ha un LEL e un UEL, rispettivamente 4 e 76%. Fatti i conti, con le debite proporzioni volumetriche, e vedrai che è come ti ho appena spiegato.
Nofer
_______________________________________
Ognuno di noi, da solo, non vale nulla.
_______________________________________
Ognuno di noi, da solo, non vale nulla.
In relazione alla risposta devo osservare:
1) L'utilizzo dell'idrogeno come gas carrier su un gc è molto diffuso, infatti tale gas permette di diminuire fortemente i tempi di analisi dato che con questo gas è possibile ottenere migliori separazioni con tempi di analisi minori utilizzando velocità sino a 80 cm/s con un minimo di htpe a 40 cm/sec conto i 20 di He ed i 10 di N2.
2) In testa alle colonne cromatografiche per poter mantenere queste velocità ci sono pressioni di alcune centinaia di KPa, dipendenti dalla lunghezza della colonna e dal diametro interno. Colonne macrobore da 0,53 mm o 0,75 mmdi diametro interno richiedono pressioni di decine di KPa e portate di decine di cc/minuto di gas.
In queste condizioni se la colonna si rompe o si danneggia sia lo strato di quarzo sia quello di poliimmide dalla parte finale verso il rivelatore non si hanno variazioni di portata significativa.
I dati indicati di pressione sono assolutamente errati, Nessuna colonna capillare oggi utilizzata lavora a pressioni così basse. Inoltre sembra che ci sia una confusione tra la pressione assoluta e quella relativa: tutte le colonne scaricano in atmosfera e quindi le pressioni indicate sono tutte pressioni relative ed indicano la sovrapressione rispetto a quella atmosferica. Nessuna colonna lavora a pressioni inferiori a quella atmosferica, se si esclude la parte terminale delle colonne collegate ad uno spettrometro di massa.
La non validità di quanto affermato è dimostrata dal fatto che è già successo in alcuni laboratori che la perdita di gas da un gascromatografo con H2 come carrier abbia provocato l'esplosione dentro il forno e l'incendio del laboratorio.
1) L'utilizzo dell'idrogeno come gas carrier su un gc è molto diffuso, infatti tale gas permette di diminuire fortemente i tempi di analisi dato che con questo gas è possibile ottenere migliori separazioni con tempi di analisi minori utilizzando velocità sino a 80 cm/s con un minimo di htpe a 40 cm/sec conto i 20 di He ed i 10 di N2.
2) In testa alle colonne cromatografiche per poter mantenere queste velocità ci sono pressioni di alcune centinaia di KPa, dipendenti dalla lunghezza della colonna e dal diametro interno. Colonne macrobore da 0,53 mm o 0,75 mmdi diametro interno richiedono pressioni di decine di KPa e portate di decine di cc/minuto di gas.
In queste condizioni se la colonna si rompe o si danneggia sia lo strato di quarzo sia quello di poliimmide dalla parte finale verso il rivelatore non si hanno variazioni di portata significativa.
I dati indicati di pressione sono assolutamente errati, Nessuna colonna capillare oggi utilizzata lavora a pressioni così basse. Inoltre sembra che ci sia una confusione tra la pressione assoluta e quella relativa: tutte le colonne scaricano in atmosfera e quindi le pressioni indicate sono tutte pressioni relative ed indicano la sovrapressione rispetto a quella atmosferica. Nessuna colonna lavora a pressioni inferiori a quella atmosferica, se si esclude la parte terminale delle colonne collegate ad uno spettrometro di massa.
La non validità di quanto affermato è dimostrata dal fatto che è già successo in alcuni laboratori che la perdita di gas da un gascromatografo con H2 come carrier abbia provocato l'esplosione dentro il forno e l'incendio del laboratorio.
non ho idea di che gascromatografo usi marcel, e/o quali metodiche adotti; il mio, e quelli di tutti gli altri laboratori accorsati che conosco, hanno il sistema di blocco alla valvola di erogazione interna dello strumento. Quanto alla pressione di esercizio, che è intorno ai 50 PSI, l'unica cosa che posso fare per portare prova di ciò che ho detto è fare una foto al manometro dell'idrogeno che è nel mio lab, e postarla. Potrete vedere che ci sono due scale, una rossa interna che indica i PSI, che infatti è scritto pure in rosso, ed una nera esterna in bar che infatti bar pure è scritto in nero. Per tranquillità mia, sul vetro esterno c'è un segno fatto con il vetrografico nero, a dove si deve fermare l'aghetto di segnalazione quando si apre il rubinetto interno, ed è giusto a 50 PSI. Per fare la foto, ho dovuto chiudere il circuito ed attendere, appunto regolando una delle valvoline interne di afflusso al FID, che se ne andasse l'idrogeno dal circuito stesso, e che quindi scendesse l'aghetto. Il tutto, però, dopo aver finito le analisi.
Ci tengo a specificare per i "non esperti" che la "doppia scala" del manometro è da intendersi come equivalente, ossia il fondo scala a 15 bar equivale al fondo scala 230 PSI, che è in perfetto accordo sull'equivalenza già riportata da Carmelo A.
Ricordo che un manometro è a tutti gli effetti un riduttore di pressione, hanno il doppio manometro (il primo visualizza la pressione all'interno della bombola, il secondo la pressione in uscita dal riduttore), hanno la regolazione della pressione di uscita tramite pomello a vite, e possono avere (a secondo dei modelli) una valvola di regolazione del flusso in uscita, e soprattutto che tutti i regolatori di pressione di primo stadio hanno una valvola di sicurezza che lascia uscire i gas all'esterno in caso di rottura del regolatore stesso. Ed è questo il motivo per cui NON si possono tenere certi gas all'interno. Inoltre, u regolatori di pressione di secondo stadio servono ad abbassare e controllare la pressione e il flusso di gas proveniente da una linea di distribuzione, con una precisione molto accurata, per i gas di laboratorio si usano quelli in acciaio inox, hanno un singolo manometro (per visualizzare la pressione in uscita dal riduttore), hanno la regolazione della pressione di uscita tramite pomello a vite, e per i laboratori si usano quelli con una valvola di intercettazione del flusso in uscita, che può essere a sfera o micrometrica, a seconda dei modelli e/o aèppunto della pressione di esercizio desiderata. Per di più, tutte le case produttrici di gascromatografi richiedono l'installazione di regolatori di pressione di secondo stadio aventi a loro volta una valvola di sicurezza che lasci uscire i gas all'esterno in caso di rottura del regolatore stesso. Ed è questo il motivo per cui è buona prassi, anche se non obbligatorio, dotare i laboratori di segnalatori di fuga dei singoli gas.
Infine, andiamo a vedere cosa dicono le case produttrici di gascromatografi sulle modalità di utilizzo dei gas:
Infine, faccio notare che persino wikipedia segnala che i gas carrier sono scelti anche in base alla sicurezza: (cit)Typical carrier gases include helium, nitrogen, argon, hydrogen and air. Which gas to use is usually determined by the detector being used, for example, a DID requires helium as the carrier gas. When analyzing gas samples, however, the carrier is sometimes selected based on the sample's matrix, for example, when analyzing a mixture in argon, an argon carrier is preferred, because the argon in the sample does not show up on the chromatogram. Safety and availability can also influence carrier selection, for example, hydrogen is flammable, and high-purity helium can be difficult to obtain in some areas of the world .
Dunque, se il laboratorio ha manometri corretti e correttamente manutenzionati, se il direttore di laboratorio ha le conoscenze tecniche giuste e direi indispensabili ad una Direzione, se la strumentazione è idonea e a propria volta sottoposta a controllo manutentivi periodici (GLP, good laboratory practice), l'idrogeno sarà usato solo per il FID, e per il fid si usa ad una pressione davvero infima. Peraltro, anche la pressione di esercizio dei carrier non supera i 550-600 PSI, e persino il gas di make-up arriva al più a 800 PSI al secondo stadio. e il gas di make up è per eccellenza l'azoto: se riuscite a far esplodere l'azoto, prendiamo un bellissimo Nobel per la fisica, o anche per la chimica, e poi dividiamo. Comunque, un tecnico decente di laboratorio sa bene che la pressione di esercizio ai manometri di secondo stadio e a maggior ragione a quelli interni deve sempre essere al di sotto di 1 bar proprio per evitare che ci siano dispersioni interne. Se non gliel'hanno insegnato e non ci pensano nemmeno da soli, tutti a pelar patate in siberia perchè sono solo braccia rubate all'agricoltura.
Giusto per concludere, vorrei ricordare che i tubicini di adduzione del gas ai vari punti del sistema hanno comunque un ID (Internal Diameter) misurabile in mm, magari 1 ma mm, mentre i diametri interni delle colonne si misurano in micron. Essendo la pressione il rapporto tra forza e superficie, se con il manometro fissiamo la forza (che sarebbe data dal flusso, nel nostro caso) ma riduciamo enormemente la superficie per un fatto puramente aritmetico tra numeratore e denominatore il valore della pressione è assai alta.
quindi, i 50 PSI misurati/pretarati all'uscita dal tubicino del gas con un'area di mm2 0,785(ho ipotizzato un ID di 1 mm, in realtà sono di 2 mm, di solito) a parità di flusso quando finiscono assai forzatamente in una colonna con ID di 0,53 micron ovvero 0,00053 mm, aumenteranno di oltre 3 milioni e mezzo di volte, visto che l'area della sezione del tubicino è 3.559.985 volte quella della sezione della colonna, ed ecco da dove escono i kPa di cui parla marcel: in colonna, marcel, in colonna.
Per cui, è vero che se si stacca la colonna alla sua fine l'idrogeno ne esce (se si stacca all'ingresso no perchè la pressione di arrivo in colonna è sempre assai bassa), ma dobbiamo sempre tenere presente la quantità un gioco che è funzione della pressione comunque assai bassa di entrata, e che l'operatore non può non accorgersene perchè il segnale, senza che possa entrare nulla nella cella di lettura, è piatto: e anche il cromatogramma più pulito non è mai del tutto piatto. Ovviamente, stiamo parlando di gente che conosce il proprio mestiere, e che sa che per esempio si usano le colonne capillari (se l'analita ricercato si presta dimensionalmente) perchè per avere la stessa pressione in colonna si usa assai meno gas e quindi c'è un significativo rispramrio di gestione con migliore definibilità dei picchi.
Dunque, per rispondere in maniera tanto sintetica quanto più esaustiva dell'altra volta a pol che ha posto il problema dell'atex da H2 nei gascromatografi, il problema preventivo si risolve a monte non usando l'idrogeno come carrier, perchè l'uscita dalla colonna è l'unico punto da dove può venir fuori il gas.
Ci tengo a specificare per i "non esperti" che la "doppia scala" del manometro è da intendersi come equivalente, ossia il fondo scala a 15 bar equivale al fondo scala 230 PSI, che è in perfetto accordo sull'equivalenza già riportata da Carmelo A.
Ricordo che un manometro è a tutti gli effetti un riduttore di pressione, hanno il doppio manometro (il primo visualizza la pressione all'interno della bombola, il secondo la pressione in uscita dal riduttore), hanno la regolazione della pressione di uscita tramite pomello a vite, e possono avere (a secondo dei modelli) una valvola di regolazione del flusso in uscita, e soprattutto che tutti i regolatori di pressione di primo stadio hanno una valvola di sicurezza che lascia uscire i gas all'esterno in caso di rottura del regolatore stesso. Ed è questo il motivo per cui NON si possono tenere certi gas all'interno. Inoltre, u regolatori di pressione di secondo stadio servono ad abbassare e controllare la pressione e il flusso di gas proveniente da una linea di distribuzione, con una precisione molto accurata, per i gas di laboratorio si usano quelli in acciaio inox, hanno un singolo manometro (per visualizzare la pressione in uscita dal riduttore), hanno la regolazione della pressione di uscita tramite pomello a vite, e per i laboratori si usano quelli con una valvola di intercettazione del flusso in uscita, che può essere a sfera o micrometrica, a seconda dei modelli e/o aèppunto della pressione di esercizio desiderata. Per di più, tutte le case produttrici di gascromatografi richiedono l'installazione di regolatori di pressione di secondo stadio aventi a loro volta una valvola di sicurezza che lasci uscire i gas all'esterno in caso di rottura del regolatore stesso. Ed è questo il motivo per cui è buona prassi, anche se non obbligatorio, dotare i laboratori di segnalatori di fuga dei singoli gas.
Infine, andiamo a vedere cosa dicono le case produttrici di gascromatografi sulle modalità di utilizzo dei gas:
.Set the head pressure at the right rate for your columns. Settings vary. For a 30 meter column, using helium carrier gas, head pressure should be 15 - 25 psi for a 0.25 mm ID column
Infine, faccio notare che persino wikipedia segnala che i gas carrier sono scelti anche in base alla sicurezza: (cit)Typical carrier gases include helium, nitrogen, argon, hydrogen and air. Which gas to use is usually determined by the detector being used, for example, a DID requires helium as the carrier gas. When analyzing gas samples, however, the carrier is sometimes selected based on the sample's matrix, for example, when analyzing a mixture in argon, an argon carrier is preferred, because the argon in the sample does not show up on the chromatogram. Safety and availability can also influence carrier selection, for example, hydrogen is flammable, and high-purity helium can be difficult to obtain in some areas of the world .
Dunque, se il laboratorio ha manometri corretti e correttamente manutenzionati, se il direttore di laboratorio ha le conoscenze tecniche giuste e direi indispensabili ad una Direzione, se la strumentazione è idonea e a propria volta sottoposta a controllo manutentivi periodici (GLP, good laboratory practice), l'idrogeno sarà usato solo per il FID, e per il fid si usa ad una pressione davvero infima. Peraltro, anche la pressione di esercizio dei carrier non supera i 550-600 PSI, e persino il gas di make-up arriva al più a 800 PSI al secondo stadio. e il gas di make up è per eccellenza l'azoto: se riuscite a far esplodere l'azoto, prendiamo un bellissimo Nobel per la fisica, o anche per la chimica, e poi dividiamo. Comunque, un tecnico decente di laboratorio sa bene che la pressione di esercizio ai manometri di secondo stadio e a maggior ragione a quelli interni deve sempre essere al di sotto di 1 bar proprio per evitare che ci siano dispersioni interne. Se non gliel'hanno insegnato e non ci pensano nemmeno da soli, tutti a pelar patate in siberia perchè sono solo braccia rubate all'agricoltura.
Giusto per concludere, vorrei ricordare che i tubicini di adduzione del gas ai vari punti del sistema hanno comunque un ID (Internal Diameter) misurabile in mm, magari 1 ma mm, mentre i diametri interni delle colonne si misurano in micron. Essendo la pressione il rapporto tra forza e superficie, se con il manometro fissiamo la forza (che sarebbe data dal flusso, nel nostro caso) ma riduciamo enormemente la superficie per un fatto puramente aritmetico tra numeratore e denominatore il valore della pressione è assai alta.
quindi, i 50 PSI misurati/pretarati all'uscita dal tubicino del gas con un'area di mm2 0,785(ho ipotizzato un ID di 1 mm, in realtà sono di 2 mm, di solito) a parità di flusso quando finiscono assai forzatamente in una colonna con ID di 0,53 micron ovvero 0,00053 mm, aumenteranno di oltre 3 milioni e mezzo di volte, visto che l'area della sezione del tubicino è 3.559.985 volte quella della sezione della colonna, ed ecco da dove escono i kPa di cui parla marcel: in colonna, marcel, in colonna.
Per cui, è vero che se si stacca la colonna alla sua fine l'idrogeno ne esce (se si stacca all'ingresso no perchè la pressione di arrivo in colonna è sempre assai bassa), ma dobbiamo sempre tenere presente la quantità un gioco che è funzione della pressione comunque assai bassa di entrata, e che l'operatore non può non accorgersene perchè il segnale, senza che possa entrare nulla nella cella di lettura, è piatto: e anche il cromatogramma più pulito non è mai del tutto piatto. Ovviamente, stiamo parlando di gente che conosce il proprio mestiere, e che sa che per esempio si usano le colonne capillari (se l'analita ricercato si presta dimensionalmente) perchè per avere la stessa pressione in colonna si usa assai meno gas e quindi c'è un significativo rispramrio di gestione con migliore definibilità dei picchi.
Dunque, per rispondere in maniera tanto sintetica quanto più esaustiva dell'altra volta a pol che ha posto il problema dell'atex da H2 nei gascromatografi, il problema preventivo si risolve a monte non usando l'idrogeno come carrier, perchè l'uscita dalla colonna è l'unico punto da dove può venir fuori il gas.
Nofer
_______________________________________
Ognuno di noi, da solo, non vale nulla.
_______________________________________
Ognuno di noi, da solo, non vale nulla.