Egr signori,
Ho una domanda da porvi.
Devo valutare il rischio chimico in un laboratorio e non voglio utilizzare nessun modello qualitativo o "semi-quantitativo" ( odio le matrici di rischio ed inoltre non ho esperienza in materia, quindi il mio giudizio non è da considerarsi giusto).
Ho visto che esiste un analisi di rischio ben descritta ed è quella riferita all' esposizione alle falde, suolo profondo, suolo superficiale in un qualsiasi terreno .
Torno alla domanda. E' possibile secondo voi effettuare una valutazione dei rischi in laboratorio utilizzando quel modello?
E' chiaro che i calcoli delle concentrazioni che effettuerò saranno puntuali e non deriveranno dal suolo.
Grazie
Buona giornata
Il forum di SICUREZZAONLINE è stato ideato, realizzato e amministrato per oltre 15 anni da Giuseppe Zago (Mod).
A lui va la nostra gratitudine ed il nostro affettuoso ricordo.
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Analisi rischio chimico in laboratorio
simone87 ha scritto: Ho visto che esiste un analisi di rischio ben descritta ed è quella riferita all' esposizione alle falde, suolo profondo, suolo superficiale in un qualsiasi terreno .
Analisi di "rischio" quale e per chi?
per chi su quel terreno lavora, per chi ci abita, per chi ci passa... per chi da quelle falde beve, per chi ci si lava, per chi aspetta che emergano in superficie per pescare le trote...
diciamo che la puoi applicare se chi lavora in quel laboratorio di analisi può essere definito come "braccia rubate all'agricoltura", definizione decisamente estensibile visto che -per tua stessa ammissione- non hai esperienza in materia.
Non riesco a dedurre, però, dalla domanda fatta e per come è articolata, se chi la pone ha una idea di cosa sia una valutazione di rischio chimico oppure no.
Nofer
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Ognuno di noi, da solo, non vale nulla.
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Salve,
Non ho capito bene a cosa si riferisce quando dice che i miei laboratoristi dovrebbero essere braccia rubate all' agricoltura.
Sarebbe interessante sapere come si fa un analisi di rischio chimico e se lei lo sa me lo dica, dato che la norma non si prende la briga di dirlo, ma dice solo i requisiti minimi. Sicuramente mi sono espresso male. In due parole. L analisi movarisch non è un analisi quantitativa, ne l analisi anarchim ne tanto meno il modello Cheope. C' è una linea guida delle regioni Piemonte ed Emilia Romagna molto carina sul calcolo del rischio ma alla fine della stessa servono di fare delle misurazioni e non le posso fare. Sarebbe invece molto interessante secondo me effettuare una valutazione del rischio chimico da laboratorio con il calcolo del rischio dei siti contaminati. In caso qualcuno ha esperienza ed ha effettuato l' analisi potrebbe rispondermi. Secondo me il laboratorio è un sito contaminato. Si può dire che la differenza sostanziale tra le due analisi è che in uno la concentrazione di esposizione si calcola in maniera indotta da zona instaura, zona satura e falda, invece per l altra il calcolo della concentrazione di esposizione , come si può fare nel laboratorio, si trova con le equazioni di evaporazione e di dispersione . Spero di essermi spiegato.
Buona giornata
Non ho capito bene a cosa si riferisce quando dice che i miei laboratoristi dovrebbero essere braccia rubate all' agricoltura.
Sarebbe interessante sapere come si fa un analisi di rischio chimico e se lei lo sa me lo dica, dato che la norma non si prende la briga di dirlo, ma dice solo i requisiti minimi. Sicuramente mi sono espresso male. In due parole. L analisi movarisch non è un analisi quantitativa, ne l analisi anarchim ne tanto meno il modello Cheope. C' è una linea guida delle regioni Piemonte ed Emilia Romagna molto carina sul calcolo del rischio ma alla fine della stessa servono di fare delle misurazioni e non le posso fare. Sarebbe invece molto interessante secondo me effettuare una valutazione del rischio chimico da laboratorio con il calcolo del rischio dei siti contaminati. In caso qualcuno ha esperienza ed ha effettuato l' analisi potrebbe rispondermi. Secondo me il laboratorio è un sito contaminato. Si può dire che la differenza sostanziale tra le due analisi è che in uno la concentrazione di esposizione si calcola in maniera indotta da zona instaura, zona satura e falda, invece per l altra il calcolo della concentrazione di esposizione , come si può fare nel laboratorio, si trova con le equazioni di evaporazione e di dispersione . Spero di essermi spiegato.
Buona giornata
La tentazione, fortissima, era di passare oltre. Anche se non afferrare il sarcasmo analogico sottinteso tra "sito contaminato/laboratorio=agricoltori/braccia rubate all'agricoltura" non è peccato, può dipendere da scarsa duttilità verso i calembour e/o l'ironia in genere.
Ma nel post di simone 87 ci sono alcune affermazioni che, da laboratorista direi incallita e igienista occupazionale e ambientale con decenni di esperienza on field sia in laboratorio che nei siti contaminati, non posso proprio far passare.
1) se un laboratorio è un "sito contaminato", il direttore va licenziato in tronco, adesso. Forse anche arrestato in flagranza di numerosi reati, tutti ricompresi tra il coso 81 e il 152/06
2) se per "calcolo del rischio dei siti contaminati" intendi riferirti all'analisi delle CSC come modalità di calcolo per ricavare la CSR, sei tu che non hai capito che la valutazione del rischio chimico in un laboratorio non è riferita alla popolazione che vive al di fuori anche se intorno al sito contaminato ma agli operatori che trascorrono 8 ore del giorno all'interno del laboratorio utilizzando le sostanze chimiche necessarie ad eseguire le analisi.
3) immaginerei di trovarmi davanti un chimico, dalla descrizione che fai delle differenze tra valutazione del rischio da sito contaminato e valutazione del rischio da laboratorio.
Si dà il caso che, in entrambi le "valutazioni" tu stia appena appena dimenticando fattori come le vie di esposizione per il biota, intendendo tanto il lombrico quanto l'umano quanto la parietaria o la gramigna, la biodisponibilità sulla disponibilità, la biopersistenza o biodegradazione oltre l'eventuale catabolismo o anabolismo ambientale, il bioaccumulo o la biomagnificazione oltre i tempi di emivita chimico-fisica ed altre cose non esattamente insignificanti come i dati tossicologici ambientali oltre quelli in parte appena esposti.
una buona rilettura dell'art. 223 e dell'allegato XLI, non come elenco di norme ma come studio delle norme ivi richiamate, può risultare dirimente: prima di esporsi affermando che "la norma non lo dice chiaramente".
Una valutazione può usare un software, come quelli indicati, ma richiede che l'esito (=il numerino) che ne esce sia stato opportunamente ottenuto e dopo correttamente "valutato" in ambito pluridisciplinare. Non ci sono formulette che tengano, ci vuole la conoscenza di ciò di cui si sta trattando.
Ma nel post di simone 87 ci sono alcune affermazioni che, da laboratorista direi incallita e igienista occupazionale e ambientale con decenni di esperienza on field sia in laboratorio che nei siti contaminati, non posso proprio far passare.
1) se un laboratorio è un "sito contaminato", il direttore va licenziato in tronco, adesso. Forse anche arrestato in flagranza di numerosi reati, tutti ricompresi tra il coso 81 e il 152/06
2) se per "calcolo del rischio dei siti contaminati" intendi riferirti all'analisi delle CSC come modalità di calcolo per ricavare la CSR, sei tu che non hai capito che la valutazione del rischio chimico in un laboratorio non è riferita alla popolazione che vive al di fuori anche se intorno al sito contaminato ma agli operatori che trascorrono 8 ore del giorno all'interno del laboratorio utilizzando le sostanze chimiche necessarie ad eseguire le analisi.
3) immaginerei di trovarmi davanti un chimico, dalla descrizione che fai delle differenze tra valutazione del rischio da sito contaminato e valutazione del rischio da laboratorio.
Si dà il caso che, in entrambi le "valutazioni" tu stia appena appena dimenticando fattori come le vie di esposizione per il biota, intendendo tanto il lombrico quanto l'umano quanto la parietaria o la gramigna, la biodisponibilità sulla disponibilità, la biopersistenza o biodegradazione oltre l'eventuale catabolismo o anabolismo ambientale, il bioaccumulo o la biomagnificazione oltre i tempi di emivita chimico-fisica ed altre cose non esattamente insignificanti come i dati tossicologici ambientali oltre quelli in parte appena esposti.
una buona rilettura dell'art. 223 e dell'allegato XLI, non come elenco di norme ma come studio delle norme ivi richiamate, può risultare dirimente: prima di esporsi affermando che "la norma non lo dice chiaramente".
Una valutazione può usare un software, come quelli indicati, ma richiede che l'esito (=il numerino) che ne esce sia stato opportunamente ottenuto e dopo correttamente "valutato" in ambito pluridisciplinare. Non ci sono formulette che tengano, ci vuole la conoscenza di ciò di cui si sta trattando.
Nofer
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Ognuno di noi, da solo, non vale nulla.
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Salve,
Non c' era sarcasmo nella mia risposta, ma solo un po' di incomprensione.
Aspiro a diventare un' ingegnere della sicurezza e sto facendo la tesi sui laboratori chimici.
So' che nel campo pratico il numerino del rischio può servire a poco, ma per il lavoro che sto facendo è il rimedio indispensabile.
Intendevo dire che per i siti contaminati esiste una formula che pesa ogni sostanza calcolandone la concentrazione, la tossicità ed un valore dell' esposizione media. Il calcolo potrebbe aggradarsi anche per i laboratoristi, facendo delle piccole modifiche. Immagino che le sostanze a cui si può essere esposti percorrendo un terreno hanno una particolare somiglianza con quelle del laboratorio per:
Vie di esposizione : cutanee inalatorie e ingestione
Soglie di danno:
Sostanze a cui si è esposti.
Infatti secondo me il calcolo poteva ritenersi soddisfacente.
La mia affermazione non era puntuale ma intendeva generalizzare lo studio e carpire idee sui possibili errori di calcolo.
Come lei mi ha sugerito ho riletto l' articolo 222 e 223 e la norma non dice un' algoritmo specifico per poter calcolare il rischio, ma dice che per la valutazione si deve tener conto di una serie di cose.
I software che ci sono in circolazione non sono efficenti quanto io credo.
Per lo più il modello movarisch, quello usato generalmente, non può rilevarsi efficace neanche se chi lo compila ha una esperienza molto grande.
Le spiego subito.
Nel modello non viene indicata una soglia di esposizione alla sostanza ponderata in tutto l' arco lavorativo.
In realtà chi compila l' analisi e la finisce non sa neanche di che sostanza si è parlato.
Dopo tante ricerche qualcosa ho trovato e le linee guida ispesl valutano in maniera più analitica il rischio chimico per ogni sostanza.
Spero di non esser stato invadente.
La ringrazio per l' attenzione.
Le auguro una buona serata
Non c' era sarcasmo nella mia risposta, ma solo un po' di incomprensione.
Aspiro a diventare un' ingegnere della sicurezza e sto facendo la tesi sui laboratori chimici.
So' che nel campo pratico il numerino del rischio può servire a poco, ma per il lavoro che sto facendo è il rimedio indispensabile.
Intendevo dire che per i siti contaminati esiste una formula che pesa ogni sostanza calcolandone la concentrazione, la tossicità ed un valore dell' esposizione media. Il calcolo potrebbe aggradarsi anche per i laboratoristi, facendo delle piccole modifiche. Immagino che le sostanze a cui si può essere esposti percorrendo un terreno hanno una particolare somiglianza con quelle del laboratorio per:
Vie di esposizione : cutanee inalatorie e ingestione
Soglie di danno:
Sostanze a cui si è esposti.
Infatti secondo me il calcolo poteva ritenersi soddisfacente.
La mia affermazione non era puntuale ma intendeva generalizzare lo studio e carpire idee sui possibili errori di calcolo.
Come lei mi ha sugerito ho riletto l' articolo 222 e 223 e la norma non dice un' algoritmo specifico per poter calcolare il rischio, ma dice che per la valutazione si deve tener conto di una serie di cose.
I software che ci sono in circolazione non sono efficenti quanto io credo.
Per lo più il modello movarisch, quello usato generalmente, non può rilevarsi efficace neanche se chi lo compila ha una esperienza molto grande.
Le spiego subito.
Nel modello non viene indicata una soglia di esposizione alla sostanza ponderata in tutto l' arco lavorativo.
In realtà chi compila l' analisi e la finisce non sa neanche di che sostanza si è parlato.
Dopo tante ricerche qualcosa ho trovato e le linee guida ispesl valutano in maniera più analitica il rischio chimico per ogni sostanza.
Spero di non esser stato invadente.
La ringrazio per l' attenzione.
Le auguro una buona serata
ciao simone
nell'applicare un modello matematico di simulazione di un fenomeno bisogna assolutamente conoscere le ipotesi sulle quali è stato costruito, essere consapevoli dei limiti di applicazione, tarare il modello e molte altre cose.
non esiste un "bimby"* della simulazione matematica dei fenomeni.
i modelli matematici non sono scatole magiche alle quali dare in pasto dei numeri di input e da lì escono dei numeri di output, qualunque meccanismo matematico ci sia dentro.
e dubito anche che si possa intervenire su un modello che simula la dispersione degli inquinanti in un terreno per calcolare una dispersione in aria effettuando solo delle "piccole modifiche".
poi i modelli devono anche essere validati, in qualche modo scientifico.
poi, qualunque modello ha un errore / incertezza ...
considera che i modelli più famosi (quelli metereologici) sono statistici, ma devono descrivere fenomeni di cui si hanno moli enormi di dati, correlati in maniera soddisfacente, con macrofenomeni conosciuti a menadito e situazioni ripetibili.
tu vorresti un modello di simulazione che ti calcoli, partendo dalla descrizione di una sorgente (es.: la pipetta piena di solvente sotto cappa), le ricadute (la concentrazione in mg/mc del solvente alla postazione di lavoro presso la cappa), facendo così per tutte le sostanze in uso e ricostruendo le dosi respirate dalle persone.
secondo me è più costoso implementare e tarare un modello del genere (ti dico solo: i gas perfetti non esistono, hai un sacco di variazioni spazio tempo, variazioni microclimatiche, un sacco di sorgenti, piccole concentrazioni in gioco, manipolazioni delle sostanze di vario tipo, stoccaggi variabili, dati poco precisi sui movimenti delle masse d'aria nel laboratorio, soggettività dell'operatore che manovra le pipette ...) che fare il monitoraggio.
tornando al tuo quesito, infatti, mi pare che il tuo problema sia quello di evitare a tutti i costi il monitoraggio.
può darsi però che i tipi di sostanza che usi e le quantità in gioco siano rispettivamente non pericolose e piccolissime, ed ecco che allora tutto ciò è un falso problema.
poi a dire la verità ho capito pochissimo di molte spiegazioni, compresa anche la frase:
"In realtà chi compila l' analisi e la finisce non sa neanche di che sostanza si è parlato".
in che senso?
prendiamo l'esempio della formaldeide (recentemente classificata come cancerogeno, spesso presente nei laboratori); tutti sanno bene le proprietà e sono ben consapevoli quando è presente, e si deve misurare per confrontarla con i limiti ACGIH.
*famoso elettrodomestico in grado di cucinare qualunque cosa
nell'applicare un modello matematico di simulazione di un fenomeno bisogna assolutamente conoscere le ipotesi sulle quali è stato costruito, essere consapevoli dei limiti di applicazione, tarare il modello e molte altre cose.
non esiste un "bimby"* della simulazione matematica dei fenomeni.
i modelli matematici non sono scatole magiche alle quali dare in pasto dei numeri di input e da lì escono dei numeri di output, qualunque meccanismo matematico ci sia dentro.
e dubito anche che si possa intervenire su un modello che simula la dispersione degli inquinanti in un terreno per calcolare una dispersione in aria effettuando solo delle "piccole modifiche".
poi i modelli devono anche essere validati, in qualche modo scientifico.
poi, qualunque modello ha un errore / incertezza ...
considera che i modelli più famosi (quelli metereologici) sono statistici, ma devono descrivere fenomeni di cui si hanno moli enormi di dati, correlati in maniera soddisfacente, con macrofenomeni conosciuti a menadito e situazioni ripetibili.
tu vorresti un modello di simulazione che ti calcoli, partendo dalla descrizione di una sorgente (es.: la pipetta piena di solvente sotto cappa), le ricadute (la concentrazione in mg/mc del solvente alla postazione di lavoro presso la cappa), facendo così per tutte le sostanze in uso e ricostruendo le dosi respirate dalle persone.
secondo me è più costoso implementare e tarare un modello del genere (ti dico solo: i gas perfetti non esistono, hai un sacco di variazioni spazio tempo, variazioni microclimatiche, un sacco di sorgenti, piccole concentrazioni in gioco, manipolazioni delle sostanze di vario tipo, stoccaggi variabili, dati poco precisi sui movimenti delle masse d'aria nel laboratorio, soggettività dell'operatore che manovra le pipette ...) che fare il monitoraggio.
tornando al tuo quesito, infatti, mi pare che il tuo problema sia quello di evitare a tutti i costi il monitoraggio.
può darsi però che i tipi di sostanza che usi e le quantità in gioco siano rispettivamente non pericolose e piccolissime, ed ecco che allora tutto ciò è un falso problema.
poi a dire la verità ho capito pochissimo di molte spiegazioni, compresa anche la frase:
"In realtà chi compila l' analisi e la finisce non sa neanche di che sostanza si è parlato".
in che senso?
prendiamo l'esempio della formaldeide (recentemente classificata come cancerogeno, spesso presente nei laboratori); tutti sanno bene le proprietà e sono ben consapevoli quando è presente, e si deve misurare per confrontarla con i limiti ACGIH.
*famoso elettrodomestico in grado di cucinare qualunque cosa
silqua