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I misteri della psiche umana

Archivio Cantieri temporanei o mobili/Cave/Edilizia.
Non sempre le procedure sono chiare e semplici. Per questo lo Staff di Sicurezzaonline ha attivato questa sezione per raccogliere tutte le problematiche relative alla sicurezza nei Cantiere Edili, nelle Cave e alla normativa tecnica in Edilizia (Riservato agli abbonati)
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ingmang
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Iscritto il: 18 ott 2004 17:41

Che le imprese e i lavoratori siano restii ad utilizzare i DPI è risaputo. Però a volte ci sono delle cose che risultano incomprensibili ugualmente.
Vi racconto quanto successo ultimamente in un cantiere in cui sono CSE.
Per il montaggio di una importante e particolare copertura metallica, sono stati montati dei sistemi di linee di ancoraggio progettate e realizzate allo scopo da parte delle ditta esecutrice. Tali linee sono perfette per poter eseguire tutti i lavori senza mai sganciarsi e sono conformi alla UNI EN 795, e sono un vero spettacolo a vedersi nonchè estremamente pratiche. Per l'occasione l'impresa ha comprato ai suoi operai tutte cinture di sicurezza nuove con cordini e connettori, siamo in zona visibile da una strada di grande comunicazione, e si vuol fare bella figura. E' stata fatta formazione integrativa agli addetti e ho provveduto direttamente io a fornire ulteriore informazione agli stessi.
Cosa succede che i lavoratori quando lavorano in zone non facilmente visibili dal basso, non si attaccano agli ancoraggi. Lavorano a 12m di altezza.
Ne ho trovato uno due volte e per due volte mi ha detto che si era dimenticato di attaccarsi.
Per evitare ulteriori pericoli, al signore in questione, ho provveduto a farlo allontanare dal cantiere per sempre dal direttore dei lavori. Io non riesco a capire quale sia il gusto di comportarsi così, avere tutto a disposizione per proteggere la loro vita e non utilizzarlo.
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weareblind
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Iscritto il: 07 ott 2004 20:36

Concordo con ingmang. A volte davvero mi sfugge qualsiasi logica. Ed è deleterio per la volontà di ben operare del ddL vedere ciò; se io avessi 10 dipendenti e 9 (dopo che ho sborsato X-mila euro) non usano la formazione e i DPI forniti, pensate che spenderei ancora? Non so.
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Stilo
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Iscritto il: 07 ott 2004 12:06
Località: Motor Valley

E' l'atteggiamento tipico degli ignoranti e degli sbruffoncelli, come i ragazzini che indossano il casco sulla nuca (se e quando lo indossano). Razionalmente inspiegabile, come dice ingmang, ma estremamente diffuso.
Ci vorrebbe per tutti noi, o almeno di sicuro per me, un bel corso obbligatorio di psicologia del lavoro, altro che ERGONOMIA!!!!!!...
Stilo
Ut sementem feceris, ita metes.
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fabrizio
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Iscritto il: 18 ott 2004 14:39
Località: Treviglio - Lodi - Crema

Bah, un montatore di prefabbricati una volta mi ha detto "...non mi rompere gli zebedei sono già caduto due volte eppure sono ancora qui.."LA questione era l'utilizzo  o meno delle cinture di sicurezza.
Al di là delle sindromi da immortale di molti operatori, ribadisco un pensiero : a quando REALMENTE le sanzioni agli operatori ?
Per un imprenditore una sanzione da es 1500 euro, rimane una scocciatura che comunque in poco tempo viene ammortizzata; per un operatore magari una sanzione da 1500 equivale ad uno stipendio; vuoi scommettere che poi si ricordano di mettere le cinture ? (quarda caso come per le cinture della macchina).
E' chiaro che l'argomento è molto più complesso ma vedo un "lieve miglioramento" nella sensibilità alla sicurezza da parte dei D.D.L. (magari asfissiati da consulenti o terrorizzati da ASL) un netto e costante encefalogramma piatto da parte di chi lavora e rischia la pelle.SAluti.
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Nofer
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Iscritto il: 06 ott 2004 21:09

oggi, essendo lunedì, non sono dell'umore giusto per leggere queste cose.
Allora... ripartiamo dall'inizio.
Codice civile, art. 2104 -2° comma: (il pretatore di lavoro) Deve inoltre osservare le disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende.
Codice Civile, art. 2106 - L'inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti può dar luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell'infrazione
Non ci vuole un genio del diritto per rendersi conto che l'art.2104 è uno dei due che precedono il 2106 (l'altro è il 2105, giusto per sottolineare che sono in ordin eprogressivo...). Ed ancora, Codice Civile art.2119- 1° comma: Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto
Ma non basta: D.Lgs. 626/94, art. 5 -1° e2° comma: Ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza e della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione ed alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro. 2. In particolare i lavoratori:
a) osservano le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale;
b) utilizzano correttamente i macchinari, le apparecchiature, gli utensili, le sostanze e i preparati pericolosi, i mezzi di trasporto e le altre attrezzature di lavoro, nonché i dispositivi di sicurezza;
c) utilizzano in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione; (etc.)
che non me lo sono sognato io stanotte (tagliatelle con rognoncini trifolati, ieri...), giuro c'è scritto. In particolare, la violazione del comma 2 è sanzionata all'art. 93, come ben sappiamo, e mi annoio a copiaincollarlo quindi se non mi credete andate e leggete, ok?
Infine, e qui sta il bello:
L. 604/66, art. 3 : Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. e subito affianco, art. 5: L'onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro.
Le procedure per attivare tutto questo sono o almeno dovrebbero essere note: cito da L.300/70, detta anche Statuto dei Lavoratori, art.7:
Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano
Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa.
Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato.
Fermo restando quanto disposto dalla legge 15 luglio 1966, n. 604, non possono essere disposte sanzioni disciplinari che comportano mutamenti definitivi del rapporto di lavoro; inoltre la multa non può essere disposta per un importo superiore a quattro ore della retribuzione di base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per più di dieci giorni.
In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa.(etc.)

Dunque, signore zoticissimo che non si mette cintura di sicurezza: visto che ci sono i videofonini e in cantiere è comunque normale usare la macchina fotografica, foto +  segnalazione dell'accaduto su diario di cantiere + 1^ lettera di richiamo con richiesta urgente di controdeduzioni, intanto sospensione dalle mansioni (divieto di salire) ma NON dallo stipendio. Il lavoratore starà a disposizione all'ingresso del Cantiere, ma assolutamente non deve fare nulla. Al più, gli si danno 5 giorni di ferie intanto che risponde, tanto fino a prova contraria le ferie le decide l'imprenditore (fatto fatica a farlo capire, ma adesso l'hanno capito anche i miei). Qualunque cosa risponda, visto che non può dire che non c'erano le cinture, nè che non siano stati adeguatamente formati, comminare un bel 10 giorni di sospensione da mansione e da stipendio (di più non si può), e comunicare per conoscenza alla ASL l'avvenuto.
Se lo rifà, stessa procedura e stesso iter per 2^ lettera di richiamo.
Alla 3^ volta, fuori per art. 2119 CC. Punto.
Ah, dimenticavo: all'ingresso di cantiere, o meglio nel baraccamento dove si dovrebbero vestire/svestire, o pranzare o semplicemente riposarsi, è bene che ci sia attaccato bello grosso e bene in vista il Regolamento di Cantiere, dove devono essere già predefinite le sanzioni per inadempienze alle norme di sicurezza. L'ideale è anche comunicarle assai formalmente per iscritto pari pari a come c'è nel cartello, in modo che non possano poi opporre violazione dell'art. 7-1° comma della 300/70.
In genere, dopo il primo licenziato, tutto piuttosto tranquillo. Se la ASL di zona è attenta ed ha il necessario personale  dopo la segnalazione del DdL non mancherà di venire quanto più spesso è possibile, ed in quel caso se lo beccano loro sì che si prende la multa lui e non il DdL, semprechè il DdL possa dimostrare che lo ha già richiamato formalmente.

A questo punto, UNA RIFLESSIONE , come direbbe stilo: può fare questo solo il DdL che sa per certo che ha fatto tutto quello che si può fare, gli altri preferiscono chiedere l'abolizione dell'art. 18, che obbliga al reintegro SE E SOLO SE non c'è giusta causa o giustificato motivo. (oppure, come dico io, se il DdL non può dimostrarlo perchè sta talmente con gli scheletri nell'armadio che piuttosto si tiene l'idiota...)
Con queste modalità, è un licenziamento per giustificato motivo, non per giusta causa, che invece può essete invocata per la rimozione dei dispositivi di protezione collettiva (tipo togliere i parapetti). Io ritengo che la rimozione di un dispositivo di protezione collettiva possa anche essere sanzionato con il licenziamento in tronco, occorre valutare bene la cosa e le relative modulazioni in fase di predisposizione del Regolamento di Cantiere, dove non tutte le possibili manovre "autonome" hanno la stessa valenza.

Tutto questo, per la serie "le leggi ci sono, magari se le applicassimo...".

Nofer
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Ognuno di noi, da solo, non vale nulla.
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catanga
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Da un mio vecchio articolo.

IL COORDINATORE PER L’ESECUZIONE E LE SITUAZIONI ED I COMPORTAMENTI PERICOLOSI IN CANTIERE

L'attuale situazione
Il D. Lgs. n° 494/1996 e successive modifiche e integrazioni, come già evidenziato in numerosi articoli pubblicati su Ambiente & Sicurezza, sposta l'impegno prevenzionale a monte della fase di esecuzione dei lavori. Pertanto, estremamente importante risulta l'opera del coordinatore della sicurezza per la progettazione che, effettuando un'accurata ricerca prevenzionale in fase progettuale, è in grado di intervenire eliminando i rischi, ove possibile, o riducendoli al minimo o, ancora, programmando la prevenzione, sostituendo ciò che è pericoloso con ciò che non  lo è, o lo è meno, ecc., il tutto secondo quanto previsto dalle misure generali di tutela dell'art. 3 del D. Lgs. n°626/1994.
Altrettanto importante, però, risulta l'opera del coordinatore della sicurezza per l'esecuzione; costui è il soggetto incaricato, principalmente, della verifica, con opportune azioni di coordinamento e controllo, dell'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e coordinamento e della corretta applicazione delle relative procedure di lavoro.
Tra questi compiti, anche se non espressamente specificato dal D. Lgs. n° 494/1996, rientra la verifica dell'avvenuta attuazione dell'attività informativa e formativa del personale posto alle dipendenze dei datori di lavoro delle imprese incaricate di eseguire l'opera.
Questo tipo di attività, fondamentale per la concreta applicazione, durante l'esecuzione dell'opera, di quanto contenuto nei piani di sicurezza (coordinamento e operativi), è spesso disattesa dalle imprese o, nel migliore dei casi effettuata con approssimazione e superficialità e senza esaminare con la dovuta attenzione alcuni importantissimi fattori che, quasi sempre, sono all'origine di situazioni e comportamenti pericolosi aventi un'elevata potenzialità di concretizzarsi in gravi infortuni; tutto ciò, ovviamente, porta all'impossibilità di definire chiaramente le necessarie azioni correttive e spesso rende inefficace l’attività dei coordinatori per la sicurezza.
Pertanto, è particolarmente importante fornire, ai coordinatori, almeno le conoscenze di base riguardanti i meccanismi che molto spesso sono causa principali degli infortuni che avvengono in cantiere ed evidenziare come una serie di interventi, comprendenti l'informazione, la formazione e la sensibilizzazione del personale, possano, se non altro, almeno limitare nelle dimensioni il fenomeno.
L'approccio prevalente
Fino ad oggi, ed è innegabile, quando si andava a spiegare il perchè degli infortuni, quasi sempre si finiva con l'attribuire la causa dello stesso al comportamento (manomissione protezioni, mancato uso DPI, ecc.) di uno o più lavoratori presenti in cantiere e tutto ciò nonostante la concreta adozione delle necessarie misure di sicurezza.
Di fronte a queste affermazioni gli interventi quasi sempre proposti dagli addetti ai lavori si risolvevano nella richiesta d'adozione di norme più restrittive, nuove procedure tecniche, specifici ordini di servizio, lettere di richiamo, multe, interventi sulle macchine per "renderle a prova di pazzo" e così via. In altri termini, si attribuiva, correttamente, al comportamento del personale le cause di un infortunio, ma stranamente non veniva mai proposto nulla che mirasse a modificare i comportamenti motivando i lavoratori alla sicurezza, aumentandone la capacità di percepire i rischi presenti in cantiere e, soprattutto, sviluppando comportamenti adeguati per far fronte a tali rischi.
Ancor oggi, dunque, non solo tra gli addetti ai lavori ma anche nella pubblica opinione, permane, nei confronti degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, un atteggiamento fatalista secondo cui questi fenomeni, aventi ricadute negative in campo economico e sociale, non sono altro che il prezzo inevitabile da pagare per produrre. Quest'approccio permane ormai da decenni, e non solo nel settore delle Costruzioni; ciò è frutto di una concezione da “normotecnoburosauri”, secondo la quale la sicurezza e la tutela della salute non è e non deve essere altro che il rigido adempimento di norme di legge e di procedure tecniche. D'altra parte, tutte le ricerche condotte negli ultimi anni dimostrano l'importanza del fatto che, per prevenire il verificarsi degli eventi lesivi durante il lavoro, bisogna intervenire su i due punti fondamentali del problema e cioè sugli gli ambienti fisici e tecnologici e sui quasi sempre dimenticati “ambienti sociali", giungendo, se necessario, alla loro completa riprogettazione (tabella 1).
Infatti, gli infortuni così come le inefficienze e le disfunzioni organizzative non sono altro che la conseguenza delle incongruenze presenti tra le esigenze di sviluppo umano poste da coloro che lavorano e la realtà della struttura aziendale. Siamo di fronte ad un problema che deve essere affrontato senza attribuire agli aspetti tecnico-normativi la prevalenza su quelli soggettivi e organizzativi o viceversa, ma che deve, invece, per  avere probabilità di successo, abbracciare tutte le dimensioni, oggettive, organizzative e soggettive, del fenomeno, stabilendo così una reciproca relazione tra i diversi approcci.
Nel seguito di questo contributo, per fornire ai coordinatori per la sicurezza almeno le conoscenze di base delle dinamiche psicologiche ed organizzative legate alla genesi degli infortuni, verranno affrontati alcuni interessanti aspetti, utilizzando, come esempi, ricorrenti situazioni lavorative evidenziando così l'importanza dell'approccio interdisciplinare allo studio delle problematiche della sicurezza sul lavoro.
Le situazioni ed i comportamenti pericolosi
Qualunque operatore, durante la propria attività in cantiere, affronta delle situazioni che, nella maggioranza dei casi, possono essere definite normali; alcune volte, queste “normali” situazioni, possono evolversi in modo ben diverso da quelle che erano le aspettative iniziali. Pertanto, qualunque normale situazione lavorativa può negativamente evolversi in una situazione pericolosa.
Ad esempio, un operaio neoassunto, dipendente di una ditta che effettua normalmente manutenzioni e ristrutturazioni, deve procedere, con i colleghi, al rifacimento del tetto di una palazzina resosi necessario dopo un'abbondante nevicata. Questa è una situazione potenzialmente pericolosa, per il neoassunto, perchè il lavoro viene effettuato a notevole altezza; egli lavora per la prima volta su un tetto e non conosce tutte le "regole" per lavorare in altezza. Inoltre, non è in grado di adeguarsi al ritmo di lavoro dei colleghi più esperti che, comunque, lo incitano a mantenere il loro ritmo. Sul tetto della palazzina, pur se prevista dal coordinatore per la progettazione nel piano di sicurezza e coordinamento, risulta organizzativamente e tecnicamente  “faticoso” predisporre una fune per l'uso delle cinture di sicurezza che consenta di muoversi con tranquillità e rapidità tale da far fronte alle richieste dei colleghi esperti che, spesso, non utilizzano le cinture di sicurezza durante gli spostamenti sul tetto. Infine, le condizioni atmosferiche possono condizionare fortemente il lavoro e quindi l'incolumità dei lavoratori (pioggia,vento, gelo, ecc.).
La prima considerazione che si può fare è che l'aspetto oggettivo del pericolo (lavoro in altezza) non è mai del tutto eliminabile, nè con la ricerca prevenzionale in fase progettuale effettuata dal coordinatore per la progettazione, nè con gli eventuali mezzi di protezione collettiva (reti, ponteggi, ecc.) e di protezione personale (cinture di sicurezza); questi, infatti, diminuiscono il pericolo ma non lo eliminano completamente.
La seconda considerazione riguarda la necessità, per il personale, di adottare comportamenti sicuri, per tutelarsi realmente dai pericoli per i quali le protezioni di tipo tecnico non sono sufficienti.
La terza considerazione ci porta a constatare che un comportamento pericoloso può rendere superflua qualsivoglia misura, procedura, norma, ecc., di tipo tecnico-procedurale, adottata per tutelare l'integrità psicofisica del personale stesso.
Visto che, obiettivamente, non è possibile evitare che il neo assunto vada sul tetto a lavorare, bisogna specificatamente istruirlo ed addestrarlo. L'istruzione e l'addestramento del solo neoassunto però non basta, in quanto è necessario eliminare anche il comportamento potenzialmente pericoloso dei colleghi più esperti. Quindi, per ridurre il rischio di infortunio, non resta che intervenire e istruire ed addestrare tutti i lavoratori, ed in particolare il neoassunto, a lavorare in sicurezza, cercando, nel contempo, di renderli tutti il più possibile sensibili al problema.
Il rischio
Nell'esempio citato precedentemente, un lavoratore che cammini su di un tetto, a parecchi metri dal terreno, reso scivoloso dalle condizioni atmosferiche e che sia stato preventivamente informato del rischio esistente, potrà ridurre con un'appropriata percezione della situazione, la reale pericolosità insita nella situazione stessa. Questa "percezione della pericolosità" non è altro che il rischio presente in quella particolare situazione lavorativa. Si può, dunque, tranquillamente affermare che la probabilità del verificarsi di un infortunio è funzione sia della reale pericolosità insita nella particolare situazione lavorativa, sia nella percezione che il soggetto ha di questa pericolosità.
Per chiarire i concetti appena enunciati si può utilizzare un altro esempio.
Per l'esecuzione di un parcheggio interrato in pieno centro cittadino, una volta eseguita la paratia perimetrale, è necessario procedere con le progressive operazioni di scavo e trasporto a discarica del materiale di risulta. Per accedere allo scavo è stata realizzata una rampa d'accesso costituita da due tratti in pendenza con una curva a gomito. Le lavorazioni di scavo sono state affidate ad una ditta specializzata che utilizza escavatori e camion per il movimento terra.
Lo spostamento dei camion sulla rampa rappresenta, visto dall'esterno, una situazione pericolosa; per gli autisti, invece, è, quasi sempre, una situazione normale, vista la quotidianeità del loro lavoro.
A questo punto è però opportuno fare alcune riflessioni.
La rampa d'accesso allo scavo è uguale per tutti gli autisti che la utilizzano, ma è anche vero che non tutti i conduttori dei camion percepiscono, allo stesso modo, la situazione pericolosa. Infatti è possibile trovare, insieme al guidatore con una percezione adeguata della pericolosità, anche il conducente che tenda a esagerare la percezione di pericolosità, magari perchè si tratta di un neo autista che ha appena finito il servizio militare dove ha conseguito la patente per i mezzi pesanti, con la quale ha trovato lavoro presso l'impresa; accanto a questi due soggetti è possibile trovare un conducente che abbia una percezione limitata e che, magari, guidi il mezzo come se si trovasse a concorrere come pilota della Parigi-Dakar nella categoria dei mezzi pesanti.
Naturalmente, dei tre autisti, nella realtà, quello più preoccupato del "pericolo rampa" sarà il soggetto ipervalutativo; infatti egli tenderà a sopravvalutare il pericolo, a differenza del "pilota" che considererà la rampa allo stesso modo di un percorso in piano. L'autista con una percezione adeguata, invece, valuterà il "pericolo rampa" in modo ancora diverso, senza sopravvalutarlo nè sottovalutarlo.
In definitiva, applicando l'esempio ad un contesto più generale, persone diverse, a prescindere dalla loro esperienza, poste di fronte alla stessa situazione di pericolo, corrono rischi diversi nell'affrontarlo.
In edilizia, purtroppo, sono molti i lavoratori che si considerano dei super esperti e che affrontano con superficialità i rischi, convinti di potersi misurare con essi e controllarli con facilità, incorrendo, così, in gravi infortuni.
Non bisogna, però, dimenticare un altro aspetto del problema.
Non basta che un lavoratore conosca il pericolo perchè se ne allontani automaticamente , in quanto, non sempre egli tende ad allontanare il pericolo evitando il senso di rischio che il pericolo provoca. Infatti, anche se dalle considerazioni precedenti si è portati a pensare che chi non conosca il pericolo (autista neoassunto), tenda a affrontare la rampa con cautela per evitare di andare incontro ad un incidente, ciò non sempre è vero. In cantiere può capitare di vedere anche una persona inesperta che, invece di condurre il mezzo con circospezione, guidi il camion come se fosse un pilota di rally e ciò nonostante questa persona non possieda l'esperienza necessaria. Si è di fronte ad un altro aspetto del problema e cioè quella che viene chiamata tendenza al rischio. Dunque, accanto a persone equilibrate che assumono dei rischi valutandoli preventivamente, coesistono, da una parte, individui che hanno paura di affrontare situazioni lavorative banali in cui il rischio è molto basso e, dall'altra, soggetti che non si prendono minimamente la briga di valutare i rischi e li affrontano con superficialità, compromettendo così la propria e l'altrui sicurezza.
Dunque il rischio, cioè la percezione del pericolo, in alcuni individui, provoca, anche se sembra assurdo, delle situazioni piacevoli, in quanto, permette loro di assumere importanza, validità ed originalità. Ciò deriva dal fatto che, sia il rischio che la capacità di superare i pericoli di vario tipo senza conseguenze dannose, è alla base di quasi tutte le iniziative umane.
Il nocciolo del problema è proprio quello di tenerne conto in modo che questa voglia di misurarsi con il rischio, venga provata solo in altre situazioni in cui l'oggetto del pericolo e del conseguente rischio non sia costituito dall'integrità fisica degli stessi individui.
Il legame tra la percezione del pericolo e la tendenza al rischio
Tenendo conto sia della pereczione che della tendenza al rischio continuiamo con un altro esempio.
Un'impresa incaricata del rifacimento di una facciata di un condominio, deve montare un ponteggio per poter eseguire il lavoro. Nella squadra incaricata del montaggio è stato inserito un neoassunto; per costui ogni situazione di lavoro costituisce un rischio superiore a quello che potrebbe correre un collega più esperto e che fa parte della squadra da parecchio tempo. La sua percezione del pericolo dovrebbe essere generalmente superiore a quella dei colleghi, in quanto, tendezialmente ipervalutativo. A prescindere dalla percezione del pericolo, il neo assunto potrebbe essere una persona che tenda ad affrontare, con superficialità, i rischi durante le fasi di montaggio del ponteggio, senza percepirli e valutarli adeguatamente.
In questo caso, sono facilmente prevedibili situazioni di grave pericolo per l'individuo e per i colleghi di lavoro. Nel caso in cui l'operaio tenda ad affrontare, con attenzione e cautela, le sue prime esperienze di lavoro con l'impresa, probabilmente si troverà di fronte situazioni di media pericolosità. Pericolo che, ovviamente, è molto basso, se l'operaio alle prime esperienze, tende a non rischiare minimamente durante il proprio lavoro.
Sempre all'interno della stessa squadra di montaggio c'è un operaio esperto e qualificato; anche per costui è possibile esaminare i tre livelli di tendenza al rischio. In condizioni normali, l'operaio affronta i pericoli derivanti dal lavoro da eseguire, utilizzando una media tendenza al rischio, che gli evita incidenti e/o infortuni grazie all'esperienza acquisita negli anni. In alcuni casi, lo stesso operaio, potrebbe ulteriormente diminuire la propria tendenza al rischio in quanto influenzato da particolari eventi contingenti.
Sempre lo stesso operaio può, invece, essere pressato o “motivato” dalla propria impresa ad eseguire, nel più breve tempo possibile il ponteggio, oppure ha personali necessità, un determinato giorno, di finire prima il proprio lavoro; tutto ciò incide sul suo comportamento e gli fa assumere dei rischi che, in condizioni normali, eviterebbe. Nel primo caso tra quelli appena citati l’operatore, durante lo svolgimento del proprio lavoro, deve mediare tra due esigenze contrastanti e cioè, cercare di raggiungere il livello di produzione stabilito dalla propria impresa (montaggio ponteggio) effettuando il minor numero di sforzi psicofisici; nella realtà lavorativa queste due esigenze sono prioritarie  rispetto la sicurezza e la tutela della salute1. Si comprende, quindi, perchè siano così importanti sia l’organizzazione del lavoro, sia la politica degli incentivi nel rafforzare queste priorità come, ad esempio, il fenomeno del “cottimismo” . La conseguenza che ne deriva è l’abbandono dell’obiettivo sicurezza; infatti, non è un caso che, in edilizia, dove è più diffuso questo tipo di politica, si verifichi il maggior numero di infortuni mortali dell’intero settore industriale2 .
La squadra ha anche il suo caposquadra e cioè un operaio dotato di grande esperienza, acquisita nei lunghi anni di attività. Costui, proprio per la sua grande esperienza, tende a valutare come abitudinarie le situazioni lavorative che affronta quotidianamente. Questi tipologia di individui non sono al riparo dai rischi di infortunio, in quanto, anche per loro, può entrare in gioco la tendenza al rischio e creare qualche problema.
Il caposquadra, infatti, possiede una grande esperienza, però può capitare che egli se ne fidi un pò troppo, credendo che, le conoscenze e le capacità acquisite, lo garantiscano nei confronti di qualunque situazione pericolosa, del resto da lui "facilmente" controllabile. Non bisogna però dimenticare che tutte le persone, a prescindere dalle esperienze lavorative, tendono ad assumere inconsapevolmente dei rischi e cioè accettano delle tendenze al rischio superiori al necessario, correndo così qualche pericolo di troppo.
Normalmente, dunque, tutti i lavoratori sono portati a considerare seriamente ciò che fanno senza adottare comportamenti rischiosi. Alcune volte, però, entrano in gioco degli elementi che alterano la percezione del pericolo o la tendenza al rischio oppure, in casi particolari, entrambe. Queste eventualità portano i lavoratori ad adottare un comportamento pericoloso che sfocia, sicuramente, nell'infortunio, che risulta, a sua volta, tanto più grave quanto più è errata la percezione del pericolo e più è forte la tendenza al rischio3.
Gli interventi adeguati
Dopo quanto detto precedentemente, l'intervento fondamentale non può che esser quello diretto a migliorare sia la percezione dei pericoli presenti nell'ambiente di lavoro, che il controllo della tendenza al rischio (caratteristica insita in ogni individuo), in modo da evitare l'assunzione di rischi non controllabili.
E' quindi necessario individuare quali sono gli elementi che influenzano sia la percezione del pericolo che la tendenza al rischio.
La percezione del pericolo è sicuramente influenzata dalle conoscenze, dalle capacità e dall'addestramento raggiunto dai soggetti ed anche dal particolare ambiente sociale esistente nell'unità produttiva (cantiere) e/o nell'impresa di appartenenza. I primi tre elementi sono facilmente comprensibili, in quanto, è innegabile che la percezione di una situazione di pericolo sia direttamente proporzionale alla conoscenza della stessa, all'addestramento ed alle capacità sviluppate dal soggetto.
L'individuo non può e non deve mai essere considerato da solo nella sua percezione del pericolo; il gruppo in cui l'individuo è inserito e cioè la squadra in cui lavora, condiziona fortemente il suo comportamento. Il gruppo di lavoro, nel caso in cui in esso regni ostilità, sfiducia, nervosismo, ecc., diminuisce le capacità di percezione del pericolo ed aumenta la tendenza al rischio di tutti i suoi membri. Nel caso in cui, invece, nel gruppo di lavoro ci sia affiatamento, stima reciproca, amicizia, ecc., lo scambio di informazioni, conoscenze ed anche segnali riguardanti la sicurezza avviene con estrema facilità4.
Un classico esempio è quello dei mezzi personali di protezione; è inutile imporne l'uso, quando il gruppo a cui i lavoratori appartengono li rifiuta completamente. Ancor più chiara è la comprensione del cambiamento di comportamento di un neoassunto che, proveniendo dalle Scuole Edili o anche da un altro cantiere in cui l'uso dell'elemetto era accettato, giunto nel nuovo cantiere sia costretto, per essere lui stesso accettato dai colleghi, a non usare più il mezzo personale di protezione per paura di essere giudicato timoroso, apprensivo, ecc..
La "dinamica di gruppo", così come viene chiamata dagli esperti, è un elemento fondamentale per determinare un comportamento sicuro; le imprese, dunque, dovrebbero agire sulle motivazioni, cioè sui bisogni di sicurezza presenti in ogni individuo, sugli atteggiamenti verso la sicurezza e sui processi di comunicazione all'interno sia delle singole squadre di lavoro del cantiere che dell'intera impresa.
Un efficace intervento preventivo dovrà, da una parte, intervenire sui singoli gruppi come, ad esempio, sulla citata squadra addetta ai lavori sul ponteggio, fornendo adeguate motivazioni per lavorare in sicurezza, modificando gli atteggiamenti nei confronti del problema, facilitando lo scambio di informazioni sia all'interno del gruppo che verso l'esterno con le altre squadre/imprese presenti in cantiere ed instaurando norme comportamentali di gruppo centrate sulla sicurezza5
Il gruppo dovrà essere anche usato come mezzo per far assumere al personale comportamenti conformi alla effettiva pericolosità dell'ambiente in cui si muovono, senza inibire quell'adeguata tendenza al rischio che è innata in ogni individuo ed è alla base di tutti i processi di sviluppo sociale.
Una nuova concezione
Da quanto emerso precedentemente, appare chiaro che le problematiche degli infortuni sul lavoro debbano essere affrontate secondo una logica ben diversa da quella attualmente dominante. Infatti, da una parte, abbiamo l'impresa con tutta la sua struttura organizzativa ed il proprio livello tecnologico, all'interno della quale si possono verificare disfunzioni ed inefficienze; dall'altra, ci sono gli individui, anche loro con possibili disfunzioni e inefficienze. E' dall'interazione tra la struttura ed il modo in cui gli individui operano al suo interno, che dipende il verificarsi degli infortuni. Quindi, è importante che qualunque intervento volto a migliorare la sicurezza, analizzi, prima di tutto, come funziona la struttura e come funzionano gli individui al suo interno. Ciò vuol dire affrontare sia le contraddizioni e le divergenze fra le varie concezioni dell'organizzazione, delle metodologie realizzative, delle tecnologie e delle tecniche utilizzate, sia contrapposizioni tra operai e capisquadra, tra capisquadra e capicantiere , tra capicantiere e direttori tecnici di cantiere e così via. Nient'altro che tensioni e divergenze tra gruppi ma anche all'interno dei singoli gruppi.
Semplificando il concetto, è importante che la metodologia dell'intervento, da una parte, effettui una precisa analisi della struttura all'interno della quale gli individui "vivono" e, dall'altra, un'analisi di come gli uomini vivono e si rapportano tra loro e di come "usino" la struttura6. Naturalmente quest'intervento deve essere effettuato facendo partecipare tutti gli appartenenti alla struttura.
Ma cosa si intende realmente con "partecipazione"?.
Un’impresa che volesse realmente “far partecipare” il proprio personale dovrebbe effettuare un'analisi sentendo tutti i diretti interessati (operai capicantiere, dirigenti, direttori, ecc.), facendo gestire ad essi sia l'analisi della situazione, sia le proposte operative, con un continuo confronto all'interno del proprio gruppo e con i vari gruppi tra loro. Ad esempio, in cantiere la percezione di uno stesso problema legato alla sicurezza è completamente diversa tra l'operaio ed il caposquadra e tra il caposquadra e il direttore tecnico di cantiere. Però, proprio perchè diverse, ognuna di esse possiede una sua parte di verità che è specifica di ogni individuo e che non può e non deve essere trascurata, pena l'incompletezza dell'analisi con la conseguente visione parzializzata dell'esistente. Pertanto, il coordinatore della sicurezza per l’esecuzione dell’opera dovrebbe rendersi conto che il problema non può essere affrontato dalle imprese risolvendo il tutto con la semplice messa a disposizione, per i lavoratori e per i loro rappresentanti per la sicurezza, di copia del piano di sicurezza e coordinamento e del piano operativo di sicurezza, solo per assolvere all'obbligo imposto dalle norme di legge vigenti, senza così coinvolgere e rendere partecipi minimamente tutto il personale di cantiere. I rischi nell’accettare questa prassi possono tradursi nel coinvolgimento diretto del coordinatore per l’esecuzione in procedimenti giudiziari a seguito di verifiche degli enti di vigilanza e/o per infortuni sul lavoro.
In conclusione, esaminando cosa si sia fatto fino ad oggi in questa direzione, ci troviamo di fronte, escluse poche realtà aziendali, ad un deserto. Le iniziative delle imprese edili, vuoi per la particolarità del settore, vuoi per le difficoltà di proporre ed applicare questo tipo di approccio, si sono limitate, e spesso solo dopo forti pressioni provenienti dall'esterno (organi di vigilanza, sindacati, ecc.), ad interventi a posteriori sugli effetti. Sono state dimenticate completamente le cause, che come detto precedentemente, non sono sempre riconducibili a specifici fattori ma che, quasi sempre, coinvolgono sia l'intera struttura aziendale che gli individui durante il lavoro e nel modo di rapportarsi con gli altri. Un serio intervento per tentare di risolvere il drammatico problema degli infortuni sul lavoro porterebbe le imprese di fronte al pericolo di drastici sconvolgimenti organizzativi; quindi non c'è nulla di meglio che continuare sulla stessa strada, riducendo il tutto ad un problema normotecnico ed affidando tutto all'esterno al solito consulente incaricato di redigere il piano operativo di sicurezza per soddisfare un obbligo di legge che il coordinatore rompiscatole ha espressamente richiesto. Questo è ciò che avviene tutt’oggi a più di tre anni dall’entrata in vigore del D. Lgs. n° 494/1996; i risultati li abbiamo tutti davanti agli occhi: l'edilizia, nonostante il nuovo provvedimento, continua a detenere il triste primato degli infortuni mortali e, nei primi mesi del 2000 è proiettata verso “traguardi” mai raggiunti prima. E' necessario, invece, aumentare la consapevolezza a tutti i livelli dell'organizzazione impresa, anche per una messa in discussione della stessa, ridefinendo principi, valori, ruoli e funzioni in modo da gestire più efficacemente le problematiche della sicurezza anche perchè la sicurezza sul lavoro non è altro che la punta dell’iceberg raffigurato in tabella 2 .
Dunque, è questo lo scenario tipico del settore che i coordinatori si trovano e si troveranno d'avanti ed è per questo motivo che è estremamente importante che questi soggetti abbiano la piena consapevolezza di quanto sia importante l'azione informativa, formativa e partecipativa che i singoli datori di lavoro delle imprese esecutrici dovranno concretamente attuare.
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Nofer
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Ovviamente, catanga (che ragionevolmente scriveva contemporanemante a me) sottolinea il ruolo fondamentale del Coordinamento per la sicurezza.
Tuttavia, poichè il post iniziale è di ingmang e io son prontissima a giocarmi di tutto che quello dov'è accaduto l'episodio è un "cantiere modello", è evidente che siamo di fronte a comportamenti soggettivi che sembrerebbero incorreggibili.
OK; parlare, formare, i capi-cantiere prima e gli operai poi...
Ma, perdonatemi il bassissimo livello di democrazia che ho oggi più degli altri giorni, quando proprio non vogliono capire la carota è bene prepararli secondo norma a capire il bastone.
Per parafrasarmi da sola, meglio un licenziato vivo che un occupato morto.
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Nofer non finirà mai di stupirmi! :smt098
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Adrov
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URKA !!

:smt038

:smt039
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Riprendo l’argomento, che avevo commentato velocemente con un’espressione “colorita” riferita alla competenza, precisione e la sacrosanta severità della risposta di Nofer.

Devo dire che è all’incirca quello che consiglio ai DdL quando mi riferiscono situazioni in cui i loro dipendenti rifiutano di indossare i DPI o non si adeguano alle disposizioni aziendali inerenti la sicurezza e l’igiene del lavoro. Finora, mi limitavo a consigliare di leggersi bene il contratto di lavoro nella parte relativa alle sanzioni disciplinari da applicare alla lettera, iniziando con richiami a voce, poi scritti, poi multe e da ultimo anche il licenziamento.
La risposta di Nofer è molto più precisa e chiara, me la sono stampata!

Come già detto da Nofer deve essere precisato che tutto il ragionamento vale per quelle ditte che hanno fatto tutto il possibile e cioè, se hanno fatto un documento di valutazione dei rischi degna di questo nome, se hanno fornito DPI e attrezzature idonee sia ai rischi che all’attività svolta, se hanno fatto svolgere a tutti gli addetti adeguati corsi di formazione e addestramento (obbligatori per i DPI di terza categoria e i DPI antirumore), se hanno attuato un sistema aziendale che garantisca un controllo dei dipendenti sull’uso effettivo dei DPI.
Ricordo che il DdL non deve solo fornire i DPI e le attrezzature idonee, ma deve anche richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori alle norme vigenti, nonché alle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro (art. 4, comma 5 lett. f) DLgs 626/94) e devono disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservino le norme di sicurezza ed usino i mezzi di protezione messi loro a disposizione (art. 4, lett. c), DPR 547/55).

Mi riallaccio ad un altro messaggio che riguardava le responsabilità dei preposti, è necessario ribadire che quando una azienda ha predisposto in modo corretto tutta la procedura di sicurezza, compresi i relativi controlli, in caso di ispezione degli organi di vigilanza o, peggio, in caso di infortunio è molto probabile che a “rimetterci” lo stipendio e l’eventuale denuncia penale, sia proprio il preposto.

A proposito di “psicologia”, non si può pretendere che i propri dipendenti mettano i DPI se il primo a non metterli è il DdL. Non si può pretendere che un muratore metta il casco e le scarpe antinfortunistiche, se il DdL, i dirigenti, i preposti ed i vari professionisti girano per il cantiere in scarpe da ginnastica e senza casco.
:smt039
Adrov
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