Mi sembra che alla fine si può riassumere il tutto con l'asserzione che la lavoratrice deve comunicare se ce n'è motivo. E se ce n'è motivo occorre che lo sappia da prima, altrimenti se non lo dice è nel pieno diritto di tutela dei suoi dati personali riservati.
E qui torniamo ad una questione sin troppo dibattuta: la valutazione dei rischi.
Se la valutazione dei rischi è stata fatta correttamente, il MC sa cosa sì e cosa no. Ma ciò purtroppo non sempre accade. E in quel caso?
Il cerino è sempre in mano al DdL, come ricorda marzio: ma il DdL non può essere un professionista della sicurezza, non è il suo mestiere, lui fa l'imprenditore. E se non lo sa il DdL, come fa a dirlo alle dipendenti? E in questo caso, dico, ce la vogliamo prendere proprio con la lavoratrice incinta?
E non mi sembra garbato! Tutto sommato, nemmeno giusto.
Nofer
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A lui va la nostra gratitudine ed il nostro affettuoso ricordo.
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obbligo di comunicazione gravidanza
Eh Nofer, Nofer...se fai così mi monto la testa e poi mi tocca anche corteggiarti...Nofer ha scritto:o...e rapportandosi all'art. 5, come giustamente ed anzi correttissimamente segnalato da fabio, ...
Non c'è mai abbastanza tempo per fare tutto il niente che vorrei (Voltaire)
Ciao Alex
La mia convinzione è che la "lavoratrice madre" ha l'obbligo di comunicare il proprio stato di gravidanza in ogni caso.
A titolo di esempio il Decreto Legislativo n. 151 del 26 marzo 2001 - Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della Legge n. 532 del 8 marzo 2000 - all'articolo 8, secondo comma, riporta: "E' fatto obbligo alle lavoratrici di comunicare al datore di lavoro il proprio stato di gravidanza, non appena accertato".
Di questo secondo comma non si può dare una interpretazione ristretta alle sole esposizioni alle radiazioni ionizzanti, perché non è espressamento indicato nel testo.
In ogni caso si deve tenere conto che l'articolo 54, stesso Decreto Legislativo, prevede:
"1. Le lavoratrici non possono essere licenziate dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonchè fino al compimento di un anno di età del bambino.
2. Il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza, e la lavoratrice, licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto, è tenuta a presentare al datore di lavoro idonea certificazione dalla quale risulti l'esistenza all'epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano.
3. Il divieto di licenziamento non si applica nel caso:
a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
b) di cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta;
c) di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine;
d) di esito negativo della prova; resta fermo il divieto di discriminazione di cui all'art. 4 della legge 10 aprile 1991, n. 125, e successive modificazioni.
4. Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che sia sospesa l'attività dell'azienda o del reparto cui essa è addetta, semprechè il reparto stesso abbia autonomia funzionale. La lavoratrice non può altresì essere collocata in mobilità a seguito di licenziamento collettivo ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni, salva l'ipotesi di collocamento in mobilità a seguito della cessazione dell'attività dell'azienda di cui al comma 3, lettera b).
5. Il licenziamento intimato alla lavoratrice in violazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3, è nullo.
6. E' altresì nullo il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore.
7. In caso di fruizione del congedo di paternità, di cui all'art. 28, il divieto di licenziamento si applica anche al padre lavoratore per la durata del congedo stesso e si estende fino al compimento di un anno di età del bambino. Si applicano le disposizioni del presente articolo, commi 3, 4 e 5.
8. L'inosservanza delle disposizioni contenute nel presente articolo è punita con la sanzione amministrativa da lire due milioni a lire cinque milioni. Non è ammesso il pagamento in misura ridotta di cui all'art. 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689.
9. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche in caso di adozione e di affidamento. Il divieto di licenziamento si applica fino a un anno dall'ingresso del minore nel nucleo familiare, in caso di fruizione del congedo di maternità e di paternità".
Saluti
Marco
La mia convinzione è che la "lavoratrice madre" ha l'obbligo di comunicare il proprio stato di gravidanza in ogni caso.
A titolo di esempio il Decreto Legislativo n. 151 del 26 marzo 2001 - Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della Legge n. 532 del 8 marzo 2000 - all'articolo 8, secondo comma, riporta: "E' fatto obbligo alle lavoratrici di comunicare al datore di lavoro il proprio stato di gravidanza, non appena accertato".
Di questo secondo comma non si può dare una interpretazione ristretta alle sole esposizioni alle radiazioni ionizzanti, perché non è espressamento indicato nel testo.
In ogni caso si deve tenere conto che l'articolo 54, stesso Decreto Legislativo, prevede:
"1. Le lavoratrici non possono essere licenziate dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonchè fino al compimento di un anno di età del bambino.
2. Il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza, e la lavoratrice, licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto, è tenuta a presentare al datore di lavoro idonea certificazione dalla quale risulti l'esistenza all'epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano.
3. Il divieto di licenziamento non si applica nel caso:
a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
b) di cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta;
c) di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine;
d) di esito negativo della prova; resta fermo il divieto di discriminazione di cui all'art. 4 della legge 10 aprile 1991, n. 125, e successive modificazioni.
4. Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che sia sospesa l'attività dell'azienda o del reparto cui essa è addetta, semprechè il reparto stesso abbia autonomia funzionale. La lavoratrice non può altresì essere collocata in mobilità a seguito di licenziamento collettivo ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni, salva l'ipotesi di collocamento in mobilità a seguito della cessazione dell'attività dell'azienda di cui al comma 3, lettera b).
5. Il licenziamento intimato alla lavoratrice in violazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3, è nullo.
6. E' altresì nullo il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore.
7. In caso di fruizione del congedo di paternità, di cui all'art. 28, il divieto di licenziamento si applica anche al padre lavoratore per la durata del congedo stesso e si estende fino al compimento di un anno di età del bambino. Si applicano le disposizioni del presente articolo, commi 3, 4 e 5.
8. L'inosservanza delle disposizioni contenute nel presente articolo è punita con la sanzione amministrativa da lire due milioni a lire cinque milioni. Non è ammesso il pagamento in misura ridotta di cui all'art. 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689.
9. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche in caso di adozione e di affidamento. Il divieto di licenziamento si applica fino a un anno dall'ingresso del minore nel nucleo familiare, in caso di fruizione del congedo di maternità e di paternità".
Saluti
Marco